Casualmente ho cominciato a leggere il romanzo di Barbara Gori “Sogni infranti” nello stesso giorno del ritrovamento del corpo della giovane Giulia, uccisa verisimilmente dall’ex-fidanzato. Questa coincidenza ha reso, per così dire, più urgente la lettura di questo romanzo che si ispira ad un fatto di cronaca realmente accaduto: l’uccisione di una giovane, Livia, avvenuta negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale in un paesino toscano, delitto rimasto insoluto. Il prologo si dilunga nella descrizione della ricerca da parte di quattro turisti della tomba di Livia, la protagonista, e della fonte nelle vicinanze della quale era avvenuto il delitto, per poi procedere alla descrizione del borgo di Toiano, nel pisano, ove i fatti si svolsero. L’amore tra Livia e Angelo segue alterne vicende tra l’atteggiamento incerto e misterioso di lei e la gelosia di lui fino al tragico epilogo: il corpo della giovane viene trovato in un bosco di lecci a poca distanza dalla fonte, dove Livia e l’amica si recavano ad attingere acqua. Il processo che segue vede un unico imputato, il fidanzato Angelo, che verrà infine assolto per insufficienza di prove. L’assassino rimane sconosciuto sia nella realtà che nel romanzo. Il finale “aperto” lascia, in questo caso, un sapore amaro, abituati come siamo dai mezzi di comunicazione alla soluzione, a volte frettolosa, ma morbosa ed appagante, dei fatti di sangue. L’autrice delinea con delicatezza e sensibilità l’immagine dei due protagonisti: semplice e trasparente per certi aspetti il carattere di lui, che si sintetizza nella gelosia e nel desiderio di possesso; più complesso ed enigmatico il carattere di lei, ignoto e sconosciuto anche a sé stessa. Dalla lettura sembra emergere la differenza tra la natura femminile e quella maschile, tra le mille sfaccettature dell’animo della donna e quello più “semplice” e “catalogabile” dell’uomo. L’inizio del romanzo con la ricerca della tomba di Livia, che si conclude positivamente, anticipa e si contrappone al finale che non è tale, perché si aspetta la soluzione del caso che non arriva: il finale, anzi, non lascia neppure intravvedere la verità. E questo finale “aperto” costringe il lettore a ripercorrere l’intera vicenda per scoprire quello che può essere sfuggito ad una prima lettura. Vari ma indecifrabili indizi vengono disseminati qua e là, anche se non risolutivi. Un punto particolarmente enigmatico è rappresentato dallo stupro subito dalla vittima: sognato o rievocato? Le circostanze farebbero pensare al “signorino”, nella cui casa Livia svolgeva lavori domestici. Ma un alibi per il giorno dell’omicidio lo esclude dalla cerchia degli indiziati. Il sospetto si sposta sul cognato, a cui Livia portava il pranzo nella falegnameria. Il cognato è anche quello a cui si rivolge Livia nel momento in cui si sarebbe accorta di essere incinta. E questo farebbe supporre un suo coinvolgimento sentimentale, ma non proverebbe la sua colpevolezza nell’omicidio. L’opera, come ricorda il sottotitolo, oscilla tra documento e romanzo. E il titolo, “Sogni infranti”, richiama quello di un fotoromanzo o di un feuilleton. In realtà l’opera è tutt’altro che un romanzo d’appendice o “rosa”: la fine tragica di Livia, che è già nell’introduzione e il responsabile, che rimane sconosciuto, lo avvicinano al thriller o al noir. Abituati a pensare una storia come qualcosa che ha un inizio e una fine, ci troviamo spiazzati: l’autrice affida al lettore l’interpretazione dei fatti e qualsiasi supposizione. Come nella realtà, la vicenda lascia amarezza e insoddisfazione. Si vorrebbe il ristabilimento dell’equilibrio. Si vorrebbe sapere tutto o solo di più. Invece, come nella realtà, non è sempre possibile arrivare alla verità. L’autrice rifiuta il ruolo di narratrice onnisciente, limitandosi a “leggere” documenti e rendendo il lettore partecipe dei risultati raggiunti. Resta la compassione per la vita distrutta, non solo di Livia, ma anche del suo assassino, della sua famiglia e di quella di Angelo, che, pur assolto per insufficienza di prove, riuscirà a venir fuori da questa vicenda solo dopo tanto tempo.
Fiorella Casucci