Come ormai noto ai più, viviamo in una società senza morale, anche se i moralisti abbondano ad ogni pie’ sospinto e in questo caos culturale e valoriale della società italiana ed occidentale torna a porsi in maniera cogente, urgente il discorso sul fine vita, sulla buona morte. Una discussione che interessa tutti e che nei tempi andati aveva visto nascere forme organizzative strutturate anche nella nostra società cortonese ed aretina. Una discussione forte, rimossa per gran parte del Novecento, ma che oggi diviene non più eludibile, dopo che i media hanno fatto entrare nelle nostre case il video di Marina Ripa di Meana sul ritorno indolore alla terra, dopo la lettera di Michele Gesualdi sul ritorno assistito a Dio e dopo le indiscrezioni che stanno trapelando sui giorni di lunga, lenta partenza per il “ritorno a casa” di Papa Benedetto XVI.
Con questo breve, essenziale articolo, che non ha alcuno scopo di discussione morale, si cerca di affrontare la questione in termini giornalisti per lanciare il cosiddetto sasso nello stagno di una società cristiana ormai sempre più comoda e rinchiusa in una “turris eburnea” , che a Cortona nei secoli passati era stata messa sotto attacco dal pensiero e dalle opere pastorali di due grandi vescovi come l’Ippoliti e il Franciolini.
Soprattutto l’Ippoliti , sul finire del millesettecento, anticipò qui da noi quell’ importante questione della dottrina sociale della Chiesa vendendo a favore dei poveri tutti gli argenti dell’episcopio. Un gesto e un fare da vero precursore di quella dottrina sociale che poi nell’ Ottocento sarebbe divenuta universale con la Rerum Novarum di Leone XIII e che nel Novecento cortonese avrebbe trovato realizzazione pratica attraverso la pastorale francioliniana del “vescovado casa di tutti, soprattutto degli esclusi, dei più deboli, dei senza voce”.
Parlando con il prossimo nelle varie occasioni d’incontro della reale vita di strada, su cui ognuno di noi è pellegrino ( cioè viandante per le più svariate necessità che vanno dal lavoro allo svago di una passeggiata, dallo studio al bisogno della spesa domestica, dalla pratica sportiva alla frequentazione di bar o di supermercati), si riscontra tanta ribellione alla cosiddetta società della rottamazione e delle cosiddette risorse umane utili o inutili. Una ribellione che però rimane a livello clandestino o catacombale, ma che pone la questione prepolitica della mercificazione della persona umana nel campo istituzionale, civile,sociale e culturale. Una questione dirimente che chiede al campo spirituale e religioso di opporsi anche organizzativamente a questa visione terribile dell’uomo e del suo vivere selvatico a livello ormai di lupo randagio e di iena ridens.
Cosa vien fuori dallo smarrimento che quotidianamente ci circonda? Soprattutto richiesta di valori, di solidarietà fraterna, di un nuovo patto sociale tra gli individui, tra persone che formano uno stato, una nazione, una comunità territoriale. E dentro questo quadro generale la richiesta pressante e preoccupata di lasciare in maniera serena e dignitosa la vita terrena.
Nei secoli passati il cattolicesimo diede la sua risposta alla questione del misterioso viaggio nell’al di là, nell’eternità di Dio non solo con i capolavori letterari di padre Dante, ma anche con tutta una serie di azioni pratiche associative che si strutturarono anche nelle Compagnie della Buona Morte. A Cortona furono attive ancora nel primo Novecento, quando le loro attività furono assorbite dalle più moderne e laicali Confraternite della Misericordia.
Le Compagnie della Buona Morte, di origine molto antica , sono opere pie d’ispirazione cristiana che nacquero in Oriente intorno al IV – V secolo. Erano affidate a collegi monastici o laici con ordini minori, la cui missione di carità era, in primo luogo, di fornire assistenza ai malati, rischiando la propria stessa vita soccorrendo anche i più contagiosi, e, in secondo luogo, garantire una degna sepoltura a tutti colori che, per diverse ragioni, non se la potessero permettere. Nella Chiesa d’Alessandria d’Egitto erano organizzate da chierici, esperti in medicina ( i Lectigari ed i Parabolani), la cui missione era di garantire a chi ne necessitasse una sepoltura cristiana e decorosa. Nell’antica Chiesa di Roma erano attivi invece i Fossores. Una congregazione che si occupava di dare sepoltura cristiana e pietosa ai morti. L’importanza del compito svolto e la considerazione in cui questa congregazione era tenuta ce lo rivela il fatto stesso che essa veniva strutturata nella gerarchia ecclesiastica del tempo. Comunque per saperne di più, rimando alle seguenti letture: Rusconi, R. (1968), Appunti per uno studio sulle confraternite medioevali: problemi e prospettive di ricerca, in Storia d'Italia Einaudi; La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea, a cura di G. Chittolini e G. Miccoli, Giulio Einaudi Editore, Torino; De Sandre Gasparini Giuseppina, Appunti per uno studio sulle confraternite medievali: problemi e prospettive di ricerca, in "Studia Patavina", 15, Editrice Gregoriana, Padova(1968); Elias Norbert, La solitudine del morente, Il Mulino, Bologna (2005); Edgar Morin, L’uomo e la morte, Erickson (2014).
Negli ultimi decenni sono state rifondate, ricostituite anche in Italia alcune nuove Compagnie della Buona Morte come quella denominata Compagnia della Buona Morte di San Giuseppe, San Michele e San Benedetto del professor Isacco Tacconi, che in una lunga intervista così presenta questa moderna opera pia: “La Compagnia della Buona Morte che abbiamo voluto fondare nasce anzitutto come una lega di preghiera in suffragio dei defunti e per la conversione dei peccatori morenti. In secondo luogo vuole essere una forma di apostolato laicale sul modello delle antiche Confraternite della Buona Morte, più propriamente dette «della Morte e dell’Orazione», o anche «della Misericordia». Queste Confraternite, oltre ovviamente alla preghiera, si occupavano dell’assistenza e della cura dei moribondi e del recupero dei cadaveri abbandonati, i cosiddetti “morti di campagna”, sobbarcandosi gli oneri per dare loro una sepoltura cristiana. (…) La desertificazione religiosa odierna è stato un motivo molto forte che mi ha spinto a riflettere su cosa noi semplici laici possiamo fare oggi per Dio e la sua Chiesa. È bene precisare infatti che l’idea della Compagnia è nata, per così dire, “in famiglia”. Già da tempo io e mia moglie ci siamo seriamente interrogati sull’abbandono di tante anime che negli ospedali muoiono senza i conforti cristiani, o senza una reale preparazione ad affrontare la morte in spirito di penitenza e di conversione. In più la completa scomparsa di questi “corpi intermedi”, quali erano le confraternite di laici, ha privato la Chiesa di quel sano impegno caritativo dei laici nei confronti dei fratelli nella fede che un tempo animava la vita quotidiana dei cattolici. Per questo abbiamo deciso di ricominciare dal focolare domestico a poco a poco, in semplicità e in umiltà, dai fondamentali della fede: preghiera e penitenza”. (cfr. http://bonaemortis.wixsite.com/compagniabuonamorte/i-nostri-santi-patroni ).
Non so esattamente come si strutturi nella chiesa locale questa compagnia in quanto il sito non è trasparente su questo, ma secondo me un qualche cosa di strettamente strutturato a livello di chiesa diocesana va fatto e messo in piedi, magari pungolando anche le istituzioni civili e politiche ad investire risorse su strutture assistenziali per anziani a prezzi accessibili ( ad esempio sui mille euro mensili), affinché la vecchiaia con deficit di salute varia o minata da malattia grave non si trasformi in duro calvario per tutti coloro che non hanno redditi, risorse finanziarie adeguate ad una ospitalità presso strutture ( le cosiddette Rsa ) private che chiedono rette mensili da tremila euro in su.
Che questa sia una strada da intraprendere da subito ce lo conferma anche una breve intervista che in proposito mi ha dato una lavoratrice cinquantenne, Giovanna, vera donna coraggio, madre di due figli e con mamma anziana da assistere, che cosi, tra l’altro, mi diceva: “In ogni epoca, in ogni cultura, in ogni popolo la partenza per la morte ha rivestito un'importanza imprescindibile della condizione umana, della sua stessa caducità e fragilità dell'essere umano. Anche uomini geniali, scienziati, potenti della terra hanno dovuto fare i conti con la fine della loro esistenza terrena sperando in qualcosa di trascendentale. Il concetto dell'immortalità dell'anima, fondamentale per il cristianesimo e non solo, sembra colmare quel vuoto, quel baratro, in cui l'uomo diversamente si sentirebbe catapultato. Ognuno di noi nel momento del ritorno alla Casa del Padre ha bisogno almeno di conforto e assistenza per riempire di speranza di vita celeste e di resurrezione il salto in questa ineluttabile voragine senza via d'uscita,nel bere quel calice amaro che anche Gesù chiese di non bere e poi accettò rimettendosi alla volontà del Padre. Ecco, avere accanto un sacerdote o anche un consacrato laico che ti accompagna alla porta di Dio è quello che desidero per me e per i miei cari in questa società davvero materiale, mercificata e che ha dimenticato il grande insegnamento evangelico : non di solo pane vive l’uomo”.
Davanti a questi ragionamenti di una donna cristiana che vive la sua quotidiana via crucis con fede e speranza cristiana, il giornalista di strada si ferma e passa l’interrogativo ai pastori della chiesa locale e in questo momento ai consacrati ed ai laici sinodali che presto apriranno le loro congregazioni di lavoro in San Domenico ad Arezzo.
Post-scriptum: desidero aggiungere inoltre, visto la complementarietà dell’argomento, una precisa richiesta al nostro vescovo, S.E.Mons. Riccardo Fontana, che mi ha suggerito il mio amico Don Benito Chiarabolli e relativa al recente ripristino del portone laterale del Cimitero monumentale della Misericordia di Cortona distrutto dalla tempesta di vento del marzo 2015. Nel vecchio architrave del portone d’accesso lato Sant’Egidio stava scritto: “Resurrecturis”. Oggi qualcuno nel marmo del nuovo architrave ha fatto scrivere: “Resurrectionis”. Francamente “ ( luogo,ndr) della resurrezione” ha poco a che vedere con “ ( dedicato,ndr) a coloro che risorgeranno”. Assieme a don Benito e tanti altri, sono sicuro che il nostro vescovo farà ripristinare la vecchia, significativa scritta.
Ivo Camerini