Fu il mito della mia fanciullezza, Silvio Passerini. Quand’era adolescente entrò col motorino rombante in chiesa a Pergo, in evoluzioni da gimkana!... mentre assistei alla blanda reazione di don Giuseppe: “Silvio che fai?! Lo dico al babbo!...” l’avesse fatto chiunque altro quel “sacrilegio”, minimo, il prete l’avrebbe preso a scapaccioni. L’amico comune Fernando mi consentì di ridere con Silvio su quei tempi andati. E appagai la curiosità di osservare, di passaggio, l’archivio di Casa Passerini. Dove ci fu lo stesso François Mitterrand – detto Le Florentin per il modo d’intendere la politica - a visionare lettere autografe del maestro di scienza politica Niccolò Machiavelli. Di Silvio – qualche anno maggiore di me – frequentai nel parco domestico il secolare Platano, sotto cui sbrigliavamo fantasie infantili. Ancora è vivo. Sui cui lunghi rami furono iscritte storie personali infinite. (Scemenze da esecrare, ma accadute). Seduti al timido sole invernale davanti casa, Silvio raccontò in poche battute la storia del Platano e degli Angori, contadini plurisecolari dei Passerini che, epoche fa, interrarono la pianticella d’origini orientali. Legame mai estinto tra le due famiglie. Fino all’ultimo, Silvio si prodigò per risolvere la malattia mortale del compagno d’infanzia Sergio Angori attingendo invano alle sue conoscenze. Dispiacere che rievocò a noi ospiti. Affetti ed esperienze indelebili nella sua memoria, testimonianza d’animo generoso. Pur privo di studi elevati è molto colto, grazie a vite intense sua e familiare, citando vari casi di vicende e persone, semplici e illustri, che ha conosciuto. Come la storia di Gino Severini, vicino di casa. Del giovane ne capì il talento pittorico un chierico, Prozio di Silvio, che lo stipendiò da panettiere... Al benefattore, il pittore dedicò un ritratto. Il ritratto della sua motocicletta Silvio lo chiese a Balthus (pseudonimo di Balthasar Klossowski de Rola, artista sofisticato di equivoche fanciulle in fiore, che vendeva quadri a prezzi astronomici a persone scelte da lui stesso), ospite a villa Passerini. Il pittore rinviò il momento di soddisfare quella richiesta singolare, finchè si disse pronto. Ma Silvio glissò: quel giorno era preso da altri interessi... e non ebbe il ritratto della moto. Per l’ironia che lo distingue, Silvio commentò quella privazione che avrebbe avuto un valore notevole: “Posso dire di aver rinunciato a profittare dei lavori di Balthus, anche per un’altra storia…” il pittore, affiancando un regista belga in uno spettacolo teatrale, ogni giorno gettava nel cestino bozzetti di scene non piaciute…, d’indubbio pregio culturale e venale, finite nei rifiuti senza che nessuno le raccogliesse!
Nell’androne di casa, dove seguitavano i racconti intriganti di Silvio, davanti a una MV Augusta corsaiola affiancata a finimenti da cavaliere, commentò: “Ecco due esempi di cavalcature!...” Mentre dalla parete ci guardava un bel ritratto femminile ottocentesco, non ricordo se amica o parente di Ugo Foscolo. Altro personaggio legato ai Passerini. Nella stanza adiacente c’è il ritratto del cardinale Silvio Passerini. Tra i capostipiti, colui che esaltò fama e ricchezza del casato. Grand commis politico dei Medici (evocati nel blasone Passerini, dove sono: il bue chianino a fianco delle sei palle medicee), servitore di Papi, proprietario di mille poderi tra Firenze e Orvieto (è scritto nella storia di Cortona nel Medioevo di Gerolamo Mancini), costruttore del Palazzone, dimora principesca oggi donata alla Scuola Normale di Pisa, e di palazzi e ville tra Toscana e Umbria. Nominato il famoso prozio, di cui porta il nome e ne cura l’eredità storica, Silvio (‘toscanaccio’, alla Curzio Malaparte) non rinunciò alla battuta: “Sapete l’origine del nome Montalla? Era il luogo dove il Cardinale… incontrava l’amante! Siccome il prete del posto non lo gradiva, minacciò di recarsi con la mula dal Papa a denunciare lo scandalo… ma il prete a Roma non giunse mai… Il Cardinale morì avvelenato da un cesto di fichi...” L’ironica vena narrativa di Silvio alternava battute sapide a digressioni storiche anche descrivendo l’archivio di casa, del cui riordino si curò la Fondazione della Cassa di Risparmio di Firenze. Fonte culturale d’inestimabile valore, che meriterebbe attenzioni anche di istituzioni pubbliche. L’archivio è, tuttavia, in ottime mani. Con la promessa di Silvio di farmelo frequentare di nuovo, che riterrei privilegio speciale sotto la sua guida lucida.
Ai saluti di commiato, regalai copia del mio libro I Mezzadri, dei quali, già guardando la copertina, Silvio mostrò di conoscerne la storia avendola vissuta. Le battiture in aie polverose, feste mobili contadine, dove ogni famiglia consumava in un giorno, in pranzi voluttuosi, equivalenti calorie d’un anno di alimentazione della famiglia stessa: prezzo da pagare per non sfigurare con gli altri. E le scartocciate del granturco, dove bastava un organetto a scatenare balli a non finire, che si mutavano, complici le notti, in occasioni ghiotte di conoscenze… sentimentali.
Insomma, dietro l’uomo affascinante che generazioni di donne hanno ammirato - oggi agente immobiliare col figlio Gianluca, produttore di vini pregiati, e prestatore di signorili location per cerimonie - c’è il lucido testimone del territorio e del tempo, passato e presente, in ragione delle sue esperienze di lavoro e di vita in contatti internazionali avuti, tanto che potremmo definirlo: Conte Popolare e Cosmopolita. Non a caso ha sposato una delle più belle donne del Granducato di Lussemburgo: Simone. Esempio vivente di transizione della nobiltà agraria al mondo globalizzato, ben radicato nelle tradizioni del territorio.
Silvio, con nonchalance, sta con l’inclito e l’umile senza vanità, riflessivo su quanto accade: sia d’interesse generale sia riguardo a persone singole. Per le quali si prodiga senza tornaconto. Anzi. È il primo a indignarsi sul modo dilagante d’arraffare: “A che serve arraffare a chi ha già tanti soldi da non avere il tempo da spenderli!?...” Sagge parole, da sottoscrivere.