Su Fb di quest’oggi abbiamo trovato questo nuovo bel post che volentieri pubblichiamo per i nostri lettori. Confessioni che Anna ci regala con leggerezza sotto il velo delle chiacchiere. Grazie, Anna! (IC )
"Diario delle CHIACCHIERE NOTTURNE
Se ne fanno tante in questo periodo, più del solito. A volte cadiamo tramortiti dentro l'oblio del sonno, ma a volte ci si dilunga coi messaggi vocali, o le telefonate, o le chattate. Devo ammettere che ho tenuto fede a quando mio padre da ragazza mi vedeva insieme alle mie amiche e diceva: "ma 'sta radio non la spegnete mai?"
A volte mi chiedo se non ho raggiunto quell'età in cui parlo e parlo, e davanti a me ho qualcuno che per gentilezza fa finta di ascoltarmi. Poi la prossima volta che mi deve rivedere o sentire inventa una scusa. Che paura.
Due anni fa mi ero avvicinata a una persona che conoscevo da molti anni, ma non era mai scattato niente. Poi qualcosa scattò, o così mi sembrò, e ci rivedemmo. Però abitavamo lontano e più che altro stavamo al telefono. Bene, siccome era un uomo un po' solo, la sera mi teneva al telefono circa tre ore, anche fino all'una o alle due di notte, dopo che io avevo messo a letto i bambini. All'inizio era interessante e un po' emozionante. Trappole facili in cui cadiamo noi donne sole. Dopo un po' infatti si fece luce la vera natura di questo incontro. Costui era un compulsivo del parlarsi addosso. Quando parlavo io non gli interessava nemmeno una virgola di quello che dicevo, lui invece doveva spaziare dalla filosofia, di cui si diceva esperto, alla politica, alla scienza, all'economia, alla moda (la cosa di cui mi interessa di meno al mondo) al cinema, oh al cinema poi, perché per un periodo era stato anche regista oltre che tuttologo. Insomma, io il più delle volte cadevo in quel sonno profondo di cui sopra, poi mi risvegliavo di colpo perché sentivo ancora la sua voce dentro al telefono che stava parlando ancora. Monologante come una goccia d'acqua notturna, non si chiedeva neanche se ero ancora in vita, o se ero caduta in coma, o se ero annegata in un allagamento proveniente dal cesso difettoso della mia casa di allora. Avrebbe continuato ad ascoltare la propria voce all'infinito. Io dicevo "vabbé adesso è molto tardi..." e lui rilanciava con un: "che poi sai..." e tornava su uno degli argomenti che da solo aveva trattato Io a quel "che poi sai" morivo. Immagino quante lauree in virologia e immunologia avrebbe avuto in questo periodo e con quanta dovizia di particolari mi avrebbe spiegato l'andamento del picco. Tanto per dire, io un po' la musica la conosco, con anni e anni di studio ed esami di Conservatorio. Lui non la conosceva per niente, e tanto, e tanto, doveva spiegarmi pure le regole dell'armonia. E' un ricordo... terribile, una specie di trauma sentimentale che uno psicoterapeuta indovina alla prima occhiata. Potrei parlare di altri "incontri d'amore" rivelatisi poi film grotteschi. Ne ho di belle eh. Ma questa mia ruota libera del mattino, con cui da una parte mi sfogo e dall'altra magari provo a tenere un minuto di compagnia in questo periodo di fantascienza al presente, è forse una mia chiacchiera monologante, che spero non faccia l'effetto che faceva a me il tuttologo della notte. Che paura di nuovo.
Adesso la sera parlo con gli amici, le amiche. Ci diciamo le cose che sentiamo.
Riflettevo sul fatto che in questo periodo, nella merda totale che vediamo, sentiamo, e temiamo come la peste (perché uso sempre 'sta brutta metafora indelicata? e però ci sta), le cose che abbiamo voglia e bisogno di dire, stavolta le diciamo, e sono sempre cose vere. Sono emozioni senza fronzoli. Essenziali, crude, dure, oppure commosse, impaurite, senza conservanti. Sono cose di cuore e meno di cervello. Vi sembra? Non stiamo più a parlare tanto di lavoro, di obiettivi, di frustrazioni, di relazioni d'amore mancate (perché per alcune di noi, vi ribadisco che la vita da quel punto di vista è dura sapete...), di programmi futuri. Parliamo proprio di come ci sentiamo. Magari di quello che abbiamo cucinato, o di chi abbiamo sentito al telefono e abita lontano, o della paura che proviamo, o dei dati sui contagi che ieri davano un po' di speranza e che sono sempre al centro delle nostre attenzioni. Parliamo di quanto ci vogliamo bene. Io parlo tanto con le mie amiche, e in questi giorni anche con un amico medico che mi spiega tante cose del coronavirus, ma che prima di tutto è una persona bella che ho voglia di sentire (niente allusioni strane piccanti, dialogo profondo, rassicurante, un senso di "bontà" che avevo quasi dimenticato). Insomma, parliamo con la voglia di parlare, e mai per formalità o gentilezza o parlarsi addosso. Abbiamo, in generale, con gli amici cari, una bella voglia di far sentire il bene. Secondo me, se potessi dare un suggerimento, ora sarebbe il momento adatto per lasciare andare a briglia sciolta questo bene che abbiamo. E un po', se lo abbiamo, anche un pizzico di male. Di notte, in queste notti in cui la luna e le stelle si vedono di più, perché sotto al cielo c'è silenzio e desolazione, mi viene voglia di dire "ti voglio bene mi manchi" a diverse persone. Di giorno, spesso, mi viene la voglia contraria. Di mattina ad esempio vorrei scrivere a tutti quelli che mi hanno deluso. Scrivere cose cattive, come per dire: siccome in questo periodo non è scontato che tutti sopravviveremo, te lo voglio dì: sei un testa di... (genere maschile, in genere). Poi, dopo averlo fatto ieri pomeriggio con uno solo (che se lo meritava davvero) ho sentito lo spreco di energia che c'era nell'insulto. Gli insulti inviati raramente tornano indietro, a livello di beneficio intendo. Spesso lo fanno con altri insulti ancora più grandi. Invece le parole belle tornano indietro quasi sempre, quasi sempre in modo generoso, a meno che non le mandi ai compulsivi del parlarsi addosso come vedi sopra.
In questi giorni, tra le chiacchiere notturne, ci siamo scritte con una nuova amica di cui ho profonda stima e mi è molto simpatica. Ci siamo confidate di esserci imbattute entrambe in un deficiente a cui entrambe avevamo dato credito. Ma questa ve la lascio per un'altra puntata.
In queste notti, o giorni, non ricordo, a volte mi scambio messaggi con una persona per me molto molto importante, con cui avevo interrotto il dialogo da tempo, per cazzate varie. E' davvero una persona che per me conta tantissimo. Ogni tanto mi scrive: "Cheru come va lì?". E io lo so che vuole tantissimo bene sia a me che ai miei bimbi. Gli effetti positivi dell'epidemia.
Le chiacchiere notturne. Quelle di questo periodo è come se sotto avessero sempre una colonna sonora di Morricone. Per me.
Penso a tutti coloro che non possono farle, in questo momento. Che non possono proprio. E non sono soltanto gli ospiti di quei luoghi bianchi e verdi pieni di tubi e liquidi, gli unici luoghi rumorosi e affollati di questo momenti. Sono anche coloro che li curano. Altro che chiacchiere notturne.
Siamo privilegiati, potendole fare. Aspetto quelle di stanotte. In questa foto rido perché era un periodo, due estati fa, in cui facevamo molte chiacchiere allegre. Torneranno."
Anna Cherubini