Questa quarta settimana di quarantena sta mettendo a dura prova tutti. E già ci viene il magone ad immaginare come sarà la quinta e la sesta che però,giustamente, dovremo ancora vivere per tornare a rivedere le stelle. Sempre che in Cielo le stelle ci siano ancora e non abbiano deciso di traslocare in altra parte dell' universo.
L’Italia oggi è ingabbiata dal coronavirus e la dura realtà della vita sta facendo fare i conti a tutti con una realtà che mette angoscia ormai anche ai più ottimisti. Mette angoscia peroò soprattutto agli esclusi, a coloro che non hanno voce e al cosiddetto ceto medio, che aveva costruito senza risparmio di tempo e risorse l’ Italia del benessere diffuso , del dare una chance a tutti.
Sotto la cenere del disastro sanitario il fuoco della speranza non è però spento. Cova silente in attesa del venticello primaverile che lo scuota e lo riavvivi.
Quand’ero piccolo e come riscaldamento di casa avevamo solo il focolare, mamma la sera lasciava che le grosse braci si incenerissero e, a volte, era ella stessa che le ricopriva con la cenere, per accelerarne il processo di spegnimento. Ella ci diceva che il fuoco "covava" sotto la cenere, o addirittura "dormiva".
I carboni rossi e ardenti sotto la cenere con cui lei li ricopriva rimanevano fuoco a "dormire" tutta la notte, dando un bel tepore alla casa durante la lunga notte invernale. Inoltre, mamma la mattina dopo aveva il vantaggio di riaccenderlo ponendovi sopra dei rametti secchi di fascina senza faticare molto. Infatti , dopo pochi minuti, il fuoco si risvegliava e riprendeva ad illuminare il camino ( il focolare) e la cucina con la sua fiamma.
Questa abitudine di mamma di lasciare le braci accese sotto la cenere faceva parte della nostra vita di tutti i giorni invernali e imparai fin da bimbo che la cenere, che per sua natura è un materiale polveroso, grigio e indistinto e senza vita, invece può coprire ogni cosa e, seppur nascondendolo alla vista, conservava la vita del fuoco che vi "covava" dentro.
Scoprii che nascondeva ma aveva poco peso, aveva leggerezza tanto che bastava un soffio , un venticello per scoprire cosa c’era sotto e far ripartire il fuoco. Da grande ho appreso che anche le emozioni e le passioni sono spesso come la brace che cova sotto la cenere e sono lì, pronte ad accendere grandi fuochi, per poi tornare ad essere, dopo una grande vampata, ancora cenere.
La coltre di cenere del coronavirus che improvvisamente oggi è caduta sulle nostre comunità locali e nazionali, sul mondo intero è anch'essa destinata presto ad essere sollevata da qualche soffio vitale, dal venticello della primavera, della speranza del domani.
Non sappiamo ancora quando questo venticello primaverile , il famoso Zefiro della poesia del Petrarca, ritornerà ad alitare vita e primavera sul “bel paese là dove il sì suona” , sul resto d’Europa e del mondo.
In attesa della primavera che timidamente quest’anno tarda ad arrivare, mentre stiamo chiusi in casa, rileggiamoci questo componimento di Francesco Petrarca. Una poesia senza tempo di un grande italiano.
Testo : Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,/e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,/ et garrir Progne et pianger Philomena,/ et primavera candida et vermiglia.
Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;/Giove s’allegra di mirar sua figlia;/ l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;/ogni animal d’amar si riconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i piú gravi / sospiri, che del cor profondo tragge / quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;
et cantar augelletti, et fiorir piagge, /e ’n belle donne honeste atti soavi / sono un deserto, et fere aspre et selvagge.
Parafrasi : Il vento primaverile Zefiro ritorna, e riporta con sé il bel tempo, / il fiorire della natura, che sempre lo accompagna, / il garrire delle rondini e il pianto dell’usignolo, / la primavera dai colori bianchi e rossi (i colori dei fiori).
I prati diventano rigogliosi, e il cielo si rasserena, / i pianeti Giove e Venere si avvicinano, quasi che il dio fosse contento di stare accanto a sua figlia e guardarla / l’aria, l’acqua e la terra (gli elementi naturali) sono pieni di un sentimento amoroso / e ogni essere vivente torna ad amare.
Ma per me, sventurato, tornano i più angosciosi / sospiri, che fa uscire dal mio cuore
quella che ne possedeva le chiavi e che ora che è morta le ha portate con sé in cielo
e il canto degli uccelli, il fiorire dei prati,/ le dolci movenze di donne belle e cortesi / sono per me aridi come un deserto, bestie crudeli e selvagge.
Ivo Camerini