Il profondo, anche se televisivamente parlando "freddo" e in parte apparentemente "distaccato", discorso del Presidente Mattarella di ieri sera ci invita a non prendere sottogamba l’attuale passaggio di svolta epocale che investe il nostro Paese. E’ soprattutto il forte richiamo alla discesa in campo dei ragazzi del novantanove del Novecento che ci invita a riflettere sul cambiamento in atto e sull’Italia che verrà. E naturalmente il paragone che ne ha fatto subito dopo con i ragazzi del novantanove dell’Ottocento, che cent’anni fa, scendendo in guerra contro l’Austria e con la terza battaglia del Piave (o di Vittorio Veneto come la chiamano gli storici), ci diedero il successo sugli austriaci e ci regalarono l’Unità d’Italia.
Certamente il paragone può apparire ardito, ma mica tanto, se ci si guarda in giro con attenta riflessione e con il cuore rivolto al futuro. Cent’anni dopo la fine della prima guerra mondiale, che ci diede l’unità nazionale, ma che in contemporanea mise fine all’Italietta liberale di Giovanni Giolitti,credo che il Presidente Mattarella, con il suo forte paragone o richiamo, abbia davvero ragione: ritorna il momento del cambiamento epocale, della svolta vera per il nostro Paese. Anche se per gli storici come epoca giolittiana vengono indicati solo i primi quattordici anni del Novecento, cioè il periodo in cui Giolitti governa il nostro Paese con maggioranze trasformiste, con clientele e con una politica estera che vede l’esercito italiano impegnato all’estero in guerre coloniali, la vera fine del liberalismo politico ed economico ottocentesco avviene nel 1918 con la fine della prima grande guerra e con l’arrivo in Europa, nell’anno successivo, dei quattordici punti del programma politico di Thomas Woodrow Wilson, lanciati nel suo discorso dell’8 gennaio 1918 e poi inseriti nel tanto discusso (e mai veramente applicato) trattato di Versailles del 28 giugno 1919.
Come sempre avviene, i signori dei palazzi romani e milanesi non compresero allora le vere novità del cambiamento in atto e lasciarono a Benito Mussolini il compito d’ interpretarle e rivendicarle politicamente, come anche il giornale romano Il Tempo di ieri ha tentato di certificare con il suo titolone in prima pagina “1917-2017: ciao ,ciao sinistra”. Un titolo naturalmente riferito alla rivoluzione russa, ma con l’errore storico di una voluta dimenticanza che nasconde di dire al lettore che Benito Mussolini, rivendicando il sacrificio, il sangue versato dagli italiani, giovani e meno giovani, per l’Unità nazionale del nostro Paese, intraprese la strada della dittatura fascista, su cui i soliti noti ( agrari ed industriali) si incamminarono festanti, nonostante l’obbligo della camicia nera e nonostante venissero gettate alle ortiche la democrazia e la libertà.
Oggi certamente siamo in una situazione ben diversa. Settant’anni di democrazia repubblicana non sono passati invano; ma le incognite di un passaggio incerto tra “ nuova dittatura” e “nuova democrazia” ci sono tutte.
A partire dalla crisi economica ( bassi salari, prezzi esosi dei vari mercati e tariffe energetiche, insomma quello che il popolo riconosce con l’espressione “salari africani e spese nord europee”) passando per la terribile ed immensa crisi culturale e morale che ci sta devastando da quasi un trentennio. A partire da una disaffezione alla partecipazione al voto, che ci sta portando a livelli intollerabili per qualsiasi democrazia degna di tal nome. Naturalmente gli Usa non possono essere presi a riferimento, perché lì da sempre comandano le lobbies, le congreghe e il popolo conta meno del due di picche.
E allora chi saranno i protagonisti delle prossime elezioni politiche? Gli italiani "grassi e ricchi" del neoliberismo, le italiane o gli italiani "impoveriti" dalle liberalizzazioni selvagge , dalla globalizzazione imperiale di “lor signori”? Cioè, le italiane e gli italiani ormai spelacchiati come l’albero natalizio di Roma?
Io credo che sia giunto il momento per coloro che sono stati ridotti a mal partito dal neoliberismo di ribellarsi agli alfieri di questo moloch importato dalla peggior America.
Se tutti i cittadini e le cittadine italiane, che in questi ultimi vent’anni hanno preferito rintanarsi nella foresta, schifati dai ladri, dai mascalzoni oppure costrettivi dagli oligarchici al potere ( e, perché no, dall’arroganza di qualche giovanotto/a che si era presentato come salvatore della patria) ritrovano la voglia, la capacità di partecipare alla vita civica del nostro Paese andando a votare, la possibilità di scacciare i briganti dal tempio democratico si farà certezza e da sudditi potremo di nuovo tornare cittadini.
Insomma, partecipando al voto si può davvero ricostruire una nuova Italia più giusta e solidale, più libera e comunitaria. A marzo 2018,infatti, la vera partita del futuro italiano la gioca il fattore P, cioè la partecipazione convinta e consapevole al voto elettorale.
Compito di ognuno di noi, che ancora ci sentiamo cittadini, sarà allora quello di darsi da fare nel 2018 con una partecipazione in massa alla vita civica. Cioè alla gestione della "res pubblica", attraverso la via maestra che il cittadino ha: il voto, libero e segreto, come recita la nostra Costituzione repubblicana.
Ivo Camerini