Per gentile concessione del Presidente del Parlamento Europeo , David Sassoli, siamo lieti di pubblicare ampi stralci della sua lunga ed interessante intervista rilasciata a Elena Marisol Brandolini per la rivista bimestrale EstOvest. Ecco i passi estrapolati dal numero 85 (settembre-ottobre 2019) di Eastwest. Il mondo. Pagina dopo pagina. Alle pagine 44-47 di questa rivista si rinviano i lettori che volessero leggere il testo integrale dell’intervista. Abbiamo lasciato in incolonnato originale lo stralcio relativo ai due passaggi sulla questione catalana in quanto a Cortona c'è una sezione di Catalogna Libera e il nostro giornale ha dato più volte spazio alla voce della leader Paola Polacco e quindi abbiamo voluto mettere in maggior evidenza questo passaggio su di un tema così delicato e sentito anche nella nostra terra cortonese. (IC)
L’Europa degli europei
Intervista al Presidente David Sassoli
di Elena Marisol Brandolini
David Maria Sassoli (Firenze,1956) è dallo scorso 3 luglio il presidente del Parlamento europeo, di cui è stato vicepresidente dal 2014. Giornalista, collabora con varie testate fino al 1992, quando comincia a lavorare per la Rai come inviato del Tg3, diventando vicedirettore del Tg1 nel 2006. La sua carriera politica inizia nel 2009, con l’elezione a eurodeputato per il Partito democratico divenendone capo delegazione all’interno dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici.
Cominciamo dalla sua investitura: lei ha detto che vuole fare del Parlamento europeo la casa della democrazia europea, che vuol dire?
Vuol dire che il Parlamento europeo deve diventare il punto di riferimento dei cittadini europei, dev’essere trasparente. Le associazioni, i partiti, i cittadini devono poter vedere il Parlamento come la loro casa; perciò abbiamo bisogno di riforme, perché come in tutte le grandi strutture ci sono delle abitudini che vanno cambiate. Abbiamo bisogno anche di facilitare l’accesso dei cittadini favorendone l’ascolto, ossia fare in modo che i provvedimenti e i lavori delle Commissioni creino partecipazione di cittadini e movimenti. C’è molto da fare. Non si diventa casa della democrazia per decreto, ma per scelta politica.
Qui entra in gioco il ruolo dei corpi intermedi: negli ultimi anni si è tentato di ridurne lo spazio, si pensa di rilanciarne la funzione?
Ho visto che da parte delle forze europeiste il tema del dialogo coi corpi intermedi e con l’associazionismo è molto presente. Credo che questo sia anche il frutto del risultato elettorale. I partiti europeisti hanno vinto non da soli, ma con i cittadini, con le opinioni pubbliche. Questa è la più grande risorsa per l’Europa. L’Europa non si costruisce solo con i partiti, ma si costruisce con i cittadini
Le elezioni del 26 maggio esprimono un voto europeista?
Abbiamo vinto le elezioni: volevano spaccare l’Europa e invece l’Europa ha diviso i governi. Anche nel mio paese, l’Italia, è andata così. Infatti il M5S l’ha votata, non così la Lega: sta cercando di ricostruire i ponti dell’Italia con l’Europa o del M5S con il Pd? Il Parlamento è di per sé un luogo del dialogo, è il luogo dove le forze politiche trovano convergenze e nel Parlamento europeo questo avviene naturalmente. Questa sarà una legislatura politica, perché tutti hanno capito che la sfida sovranista e nazionalista, che è stata battuta con il voto delle europee, ci ha consegnato una grande responsabilità.
Lei comunque in una riunione del suo partito a luglio ha parlato di ricostruire ponti con quell’area politica che si riferisce al M5S…
Non bisogna mai avere paura del dialogo e del confronto e la sede parlamentare è la sede appropriata; poi credo che le forze politiche debbano non considerarsi autosufficienti e quindi debbano avvertire la necessità d’instaurare rapporti e ove possibile convergenze senza per questo rinunciare alle proprie identità. Le diversità devono essere viste come una ricchezza non come un ostacolo.
Le elezioni europee consegnano un Parlamento con un asse conservatori-socialdemocratici indebolito e la presenza di nuovi soggetti, ma le cariche europee sono ancora il frutto di una spartizione tra i due principali gruppi...
Spartizione è un brutto termine... Tra le forze europeiste, liberali, socialisti e popolari è stato trovato un accordo nel Consiglio. Noi fino all’ultimo abbiamo pensato che la scelta migliore sarebbe stata quella d’incaricare per la Commissione un presidente che era stato proposto agli elettori, secondo il metodo dello spitzenkandidaten. Naturalmente, abbiamo capito che i governi hanno spinto in altra direzione, ma l’hanno fatto comunque all’interno di un quadro europeista. Perché le forze che hanno trovato l’accordo nel Consiglio, che sono la maggioranza dei governi europei, vanno ricercate dentro le famiglie europeiste dei liberali, dei socialisti e dei popolari.
(….)
Come si coniuga l’idea dell’immigrazione come tema europeo con il principio del porto più vicino nel salvataggio?
Ci sono due questioni che bisogna mantenere distinte: i paesi dell’Unione sono tenuti al rispetto delle Convenzioni internazionali e questo è un principio che non può essere derogato; la seconda questione è su come si debba affrontare il problema dell’immigrazione e noi diciamo con la solidarietà di tutti i paesi dell’Unione europea. E, ovviamente, secondo le convenzioni internazionali, i porti non possono essere chiusi e la gente in mare dev’essere salvata.
Lei fa parte di quella generazione che ha sempre visto in Londra un simbolo di libertà: è perciò che ha parlato di dolore riferendosi alla Brexit?
Sì, perché pensare che un paese come la Gran Bretagna ci lascia perché pensa di vivere meglio senza di noi è doloroso. Ma su questo dobbiamo essere molto chiari, perché l’Europa che litiga su tutto, sulla Brexit ha sempre avuto una voce sola e questa voce dev’essere rispettata da tutti. Per noi l’accordo che era stato raggiunto è il miglior accordo possibile, se non si vuole quell’accordo ci si assumerà le conseguenze, compresa la riapertura della frontiera irlandese. Il Parlamento lo ribadirà in una nuova Risoluzione, perché sia chiaro che ognuno deve assumersi le proprie responsabilità.
Con Boris Johnson c’è il rischio di una Brexit senza accordo.
Noi siamo molto contrari a questa possibilità, pensiamo che questo sia un danno non solo per i cittadini europei ma anche per quelli britannici. Vogliamo fare di tutto perché ciò non si verifichi, ma le scelte compiute con il referendum e quelle del Parlamento britannico devono essere rispettate. Se l’idea è quella di uscire senza accordo, non possiamo non prenderne atto; ma dobbiamo ribadire che la nostra posizione dev’essere rispettata e che ci si deve assumere la responsabilità allora che in Irlanda ci sia una frontiera.
Ci sono tre eurodeputati catalani
eletti da oltre due milioni di cittadini
europei, cui lo Stato spagnolo impedisce
di esercitare la funzione di rappresentanza:
che ne pensa?
Nel 1975, quando si decise di procedere
all’elezione del Parlamento
europeo a suffragio universale, ci fu
una grande discussione sul fatto se
dare all’Europa una legge elettorale
comune, ma questo non fu possibile.
Le leggi elettorali nazionali e le procedure
previste rispecchiano non solo
meccanismi giuridici, ma anche
elementi di garanzia che sono propri
di ogni Stato democratico dell’Unione
europea. In questa vicenda le autorità
spagnole sono il dominus.
È attesa a breve la sentenza del
processo alla leadership indipendentista:
che idea si è fatto del conflitto
catalano?
Il mio ruolo è quello di rispettare
le autorità nazionali perché stiamo
parlando di Paesi democratici. Secondo
me, nella vicenda catalana, c’è
sia una grande questione politica,
che una questione di rispetto di uno
Stato nazionale e delle sue leggi.
Quindi ci sono entrambi gli aspetti,
politico e giuridico. Ma si tratta di
un dibattito interno a uno Stato membro,
su cui il Parlamento europeo non
ha nessuna possibilità d’intervenire.
Nel suo discorso d’insediamento ha fatto riferimento alla memoria europea della guerra, della dittatura e della Shoa: si parla troppo leggermente oggi di nuovo fascismo, o davvero ce ne sono le premesse?
Io penso che delle tentazioni autoritarie esistano, non è un caso che anche la Commissione Juncker e il Consiglio abbiano aperto delle procedure sul rispetto dello Stato di diritto in alcuni Paesi membri. Questo vuol dire che delle tentazioni sono presenti e che alcuni Paesi devono calibrare meglio i loro interventi di riforma, per esempio sul sistema giuridico, rispetto agli standard europei. Questa è una questione all’ordine del giorno che anche la presidente Von der Leyen ha ribadito con grande chiarezza. Noi abbiamo il dovere di squadernare le nostre libertà, consigliando dove si deve consigliare e ammonendo quando si devono ammonire quegli Stati che, con troppa facilità, manipolano le regole della democrazia. Questo è un compito su cui il Parlamento si è già espresso in più occasioni e che anche la Commissione sta seguendo con attenzione.
Vede un ruolo positivo della stampa in questo senso?
Sicuramente il dibattito in questi mesi è stato molto seguito. C’è una funzione su cui il mondo dell’informazione dovrebbe interrogarsi, perché le opinioni pubbliche hanno difficoltà a capire i meccanismi istituzionali. La stampa non può supplire, ma in tanti casi può aiutare. Perché è facile che nei dibattiti pubblici si parli di funzioni che in realtà non sono attribuite, un caso esemplare è quello dell’immigrazione. L’immigrazione è politica nazionale, non politica europea. Se si vuole un’Europa che si occupi d’immigrazione, le vanno trasferiti dei poteri. C’è forse da lavorare di più su un’alfabetizzazione rispetto ai meccanismi europei e il mondo dell’informazione, ma anche quello della scuola e dell’università, può rendere più consapevoli i cittadini. Vanno conosciuti i meccanismi per poterli cambiare, anche radicalmente.
Com’è stata questa prima fase?
È stato un avvio forte perché le elezioni hanno prodotto una scossa. Hanno prodotto la voglia di riprenderci il cantiere europeo. E oggi abbiamo delle idee importanti per dare un segno politico alla legislatura e cambiare le politiche. E questo è un lavoro che vale l’idea di una nuova Europa, o comunque di un’Europa che non si ferma. In questi dieci anni, la sensazione è che il cantiere si sia fermato. Credo che rilanciarlo sia la sfida che ci accompagnerà nei prossimi cinque anni.
Elena Marisol Brandolini [BARCELLONA] è giornalista. Scrive su Il Messaggero, Affari Internazionali
e Rassegna Sindacale. Ha collaborato con l’Unità e Il Fatto Quotidiano.
Redazione e stralci a cura di Ivo Camerini