L’invito era irresistibile, di Isabella Gambini (di Intermedia Edizioni), alla presentazione del libro “Galassia Islamica – Le ragioni del terrore” dello 007 italiano Sandro Menichelli. Dopo le mie letture di approcci diversi e contraddittori sul terrorismo islamico, a partire dal romanzo di Michel Houellebecq dal titolo inquietante “Sottomissione”, dove si immagina la fratellanza Musulmana al potere in Francia, con la conseguente islamizzazione delle istituzioni culturali e sociali del paese. Come nelle peggiori ossessioni Kafkiane. Suggestioni letterarie e politiche derivanti dalla traduzione letterale di Islam nel significato di “sottomissione, abbandono, consegna totale [di sé a Dio]”. L’invito di Isabella, alla presentazione del libro, era reso intrigante dalla presenza, il 16 ottobre, del Capo della Polizia Franco Gabrielli, e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Rao, nella sede della Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari di Montecitorio. Superfluo sottolineare il carattere blindato della manifestazione, a cui hanno assistito anche l’ex ministro degli Interni Minniti e il presidente della Camera dei Deputati Fico.
La presentatrice Marta Ottaviani, concisa e incisiva, precisava subito aspetti fondamentali del libro: Islam e Musulmani sono concetti diversi non necessariamente sovrapponibili. Da un lato c’è la religione Musulmana coi suoi precetti, riti, e sacri testi, e dall’altro c’è la complessa organizzazione socio-economica dell’Islam, vera e propria galassia caratterizzata dalla figura dell’Imam, presente in ogni gruppo di fedeli. A cui è attribuito il compito di guidare la comunità, caratterizzandosi per, maggiore o minore, temperanza e integrazione nella società e nella nazione in cui il gruppo vive. Da ciò discende la necessità di una conoscenza culturale a trecentosessanta gradi di questo mondo - a noi vicino e in parte misterioso. Non bastando a fronteggiarlo solo l’intervento delle forze di sicurezza e giudiziarie, richiede risposte provenienti dall’intera società nel mondo cosmopolizzato. Dai più alti livelli statali e interstatali, alle istituzioni locali, alla consapevolezza dei cittadini singoli e associati.
Con un refrain si può focalizzare l’attuale momento di alta tensione: i terroristi sono tutti islamici; ma non tutti gli islamici sono terroristi. Da ciò deriva l’utilità del libro, secondo Gabrielli, in quanto si affrontano fenomeni complessi che richiedono la massima conoscenza. Senza che il libro risulti un mattone indigesto, anzi, avendo affrontato in modo semplice, di facile e stimolante lettura, argomenti nodali quali la religione, la società e la geopolitica. Aiutando il lettore anche con un Glossario, a rendere chiaro ogni passaggio. In definitiva, si tratta di un modo efficace per battere la paura attraverso la conoscenza. Conoscenza a fondamento di uno Stato laico che non marginalizza né ghettizza né, necessariamente, costringe all’assimilazione il “diverso”. Cercando, invece, le radici profonde della radicalizzazione che ha portato al terrorismo singoli o gruppi, anche di seconda e terza generazione, residenti nei paesi europei.
Colti alla sprovvista dal fenomeno quasi tutti i paesi europei, con gli esiti tragici che conosciamo, dalla strage di Charlie Hebdo in poi. Avendo dimostrato, il sistema di sicurezza pubblico europeo, ignoranza e impreparazione generalizzata, a partire dai vertici politici e giudiziari.
A Cafiero De Rao è stata rivolta la domanda: “qual è la situazione dei foreign fighter dopo l’invasione Turca nella zona Curda?”, in cui le questioni religiose, dell’Islam, della Jihad, si intersecano con questioni geopolitiche fino alla provenienza degli stessi jiadisti, molti dei quali di origini europee e occidentali, che potrebbero tentare il ritorno nei luoghi di origine. La risposta è stata interlocutoria: ci stiamo lavorando, ma siamo all’oscuro sul numero e la provenienza degli stessi, non esistendo ancora un organico censimento del fenomeno. In proposito, torna centrale il tema del rapporto positivo con le comunità islamiche locali, anche al fine di elaborare politiche di “deradicalizzazione”, andando alle cause di sofferenze tali che portano allo stragismo e all’adesione alla Jihad.
L’Italia, dal dipartimento per la sicurezza Usa, è posta tra gli stati a livello di rischio 2 su una scala di 4, insieme a Francia, Germania, Belgio – dove si annoverano decine, centinaia di vittime del terrorismo islamico - pur non avendo subito, l’Italia, attentati dal 1985 (all’aeroporto di Fiumicino).
Cafiero De Rao, definendo il “momento di grave rischio”, fornisce alcuni dati. Dall’Europa si sarebbero mossi 5-6mila foreign fighter (5762 sarebbe il numero calcolato), ma nessuno ne ha l’elenco. I flussi dei migranti nei centri di detenzione sarebbero sotto controllo, sebbene ci siano strade alternative di accesso all’Italia che vanno monitorate. In Italia se ne contano 10. 3 in galera. Gli altri 7 sono “monitorati”. La polizia giudiziaria, definita la migliore al mondo, non mollerebbe mai il soggetto ritenuto a rischio. Alta sarebbe la coesione collaborativa dell’apparato AIS, AISE, e vertici della polizia (di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza). Il livello di controllo e attenzione molto attento. In Italia non ci sono stati attentati “non per fortuna”, sostiene De Rao, ma grazie a un sistema antiterroristico che ha radici lontane e consolidate.
L’autore Sandro Menichelli, trentacinque anni di esperienza in polizia, ribadisce il concetto da altri espresso che la ratio del titolo del suo libro risponde all’esigenza cognitiva da parte di tutte le società occidentali oggi poste di fronte alla “Galassia Islamica”. Esistendo tanti Islam quante sono le comunità presenti sul territorio. Riunite intorno all’Imam, colui che rappresenta il mediatore tra comunità locale, nazione, istituzioni. Le cui origini contano (egiziane, tunisine, marocchine, …) da cui possono seguire diverse scuole giuridiche su permessi, obblighi, usi,… e indirizzi dottrinari diversi, secondo l’area culturale di provenienza. Fino a definire il fenomeno: “pulviscolo islamico”, corrispondente all’atomizzazione delle comunità locali. I valori occidentali solo per alcuni Islam sono ritenuti corrotti, tenendo conto anche di frange minoritarie. Importante, in Italia, è stato l’obbligo, fatto agli Imam, della predicazione in italiano (dal ministro Minniti), onde aumentarne la responsabilità nel pronunciare sermoni. In via etica, nella religione musulmana il suicidio è considerato peccato, essendo la vita un dono di Dio. Ciò non diminuisce l’importanza di capire le ragioni che spingono persone nate nelle nostre società a immolarsi. Ponendosi il problema, a livello europeo, su come migliorare il monitoraggio e la prevenzione del fenomeno terroristico.
Secondo De Rao, fondamentale, nel contrasto all’ISIS, è acquisire conoscenze, immediate e tempestive, superando le formalità negli scambi delle informazioni, dove un tempo tra le polizie esisteva la non condivisione permanente delle notizie. Un passo in avanti è rappresentato da Eurojust, agenzia della UE, specie di procura generale col compiuto di raccogliere dati e raccordare iniziative delle procure nazionali. Passo ulteriore dovrebbe essere un Registro delle Istruttorie su notizie di reato iscritte nelle procure di tutta Europa. Consentendo un raffronto immediato in automatico di fatti, persone,… come auspicabile sarebbe la fusione dei dati Eurojust con i registri delle polizie europee (che ancora non ci sarebbe!).
Menichelli sottolinea la pacatezza e l’oggettività con cui ha trattato la situazione riguardo l’Islam, sostenendo che la stragrande maggioranza degli islamici vuol testimoniare sentimenti di pace, e vivere nel nostro paese nel rispetto delle leggi locali. Mentre il terrorismo è diventato un elemento comune europeo per come è trattato a livello giudiziario. Però sarebbe un errore trattare i rapporti con l’Islam solo in termini “panprocessuali”, riconducendo l’azione esclusivamente alle polizie e ai giudici, limite che impedirebbe risposte di tutte le componenti sociali al fenomeno terroristico: dalla scuola, agli enti intermedi, agli Stati, uniti all’unisono.
Gabrielli ha sostenuto che l’uso della lingua italiana nei sermoni degli Imam non ha favorito un Islam italianizzato, ma ha consentito una religiosità composita, articolata per comunità. Lasciando dignità a quanti professano questa religione, che nella sua diversità potrebbe indurre paura, mentre spetta al Ministero dell’Interno consentirne libertà e diritti ma di impedirne percorsi sovversivi. Nel nord Europa si rileva meno tensione sull’argomento terrorismo, forse in mancanza di esperienze come la ‘ndrangheta. Essendo dentro la minaccia, il sistema deve essere attento ai massimi livelli. E le comunità islamiche devono porsi il problema se stare con lo Stato o con il terrorismo, non per cultura “delatoria”, ma consapevoli di far parte di una comunità, in un paese di emigranti. Affrontandolo come processo culturale. Senza misconoscere gli aspetti problematici che tale processo contempera, alla cui base c’è la reciproca conoscenza. Impedendo nuove e vecchie marginalità culturali, economiche, e sociali dove rintracciare il sostrato della “radicalizzazione”.
Già dalle riflessioni , in questa occasione, suscitate dal libro “Galassia Islamica” di Sandro Menichelli se ne avverte l’importanza e il dovere di estenderne le articolate conoscenze al maggior numero di lettori/cittadini.
Ferruccio Fabilli
[email protected]