L’Etruria

Redazione

Ritrovare la preghiera. Affidarsi alla preghiera

Nel tempo dell’ isolamento le persone possono restaurare il rapporto con Dio e ricostruire la “ chiesa domestica”.

Ritrovare la preghiera. Affidarsi alla preghiera

La rigida, necessaria chiusura nelle case ricorda molto la vita chiusa medioevale quasi di clausura conventuale anche nelle case. Ma, a differenza dei medioevali, oggi noi non abbiamo più la rete di protezione della  preghiera, dell'ascesi a Dio che caratterizzò la vita delle persone in quell'epoca sia a livello individuale sia a livello comunitario.
La vita degli ultimi cinquanta anni tutta ripiegata sulla terra e sulle sue cose materiali ha quasi eliminato il trascendente, cioè i valori etici, spirituali coltivati ormai solo da una ristretta minoranza, anche nella nostra Italia, che le statistiche ci dicono essere quasi all'ottanta  per cento cattolica. 

Nelle case contadine e povere di una volta la preghiera era il collante familiare e il sostegno cui ci si affidava al mattino per arrivare alla sera e alla sera per domandare il risveglio dell’alba. Le nostre mamme e nonne sapevano tutte le preghiere a memoria e le insegnavano ai bambini. Conoscevano anche il rosario e lo recitavano nelle lunghe sere invernali o nel mese di maggio quando alla sera abitando lontano dalla chiesa non potevano andare lì per recitarlo.

Ricordi belli dirà oggi qualcuno. Ricordi romantici da cartolina dirà qualcun altro perché la vita negli ultimi cinquant’anni ha messo in secondo piano la religione, la fede cristiana e la devozione popolare si è espressa solo in alcune festività annuali molto incartate e abbellite nel consumismo e nelle penne di pavone del lusso o del superfluo.

Personalmente ritengo invece che si possa ritornare alla preghiera e alla cura della nostra anima. Quando le malattie attaccano il corpo, l'anima diviene essenziale e decisiva per tutti. Anche per coloro che amano definirsi atei e magari sono più vicini al Signore di tanti ipocriti che  vestono di preghiere il loro  cuore di pietra e non sanno, come dice Matteo nel suo Vangelo, che "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli".

Non sanno, sempre come scrive Matteo nel suo Vangelo, che : "Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati".

Ed inoltre: "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? ".

Ed infine : "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi".

Sono passaggi forti del piccolo libricino "Vangelo" che in tanti teniamo nelle nostre case, anche perché nelle Benedizioni Pasquali degli anni passati molti sacerdoti cortonesi ce lo portavano in regalo. Rileggiamolo che ci farà bene. Per approfondire il discorso riporto qui di seguito la riflessione sulla " Chiesa domestica" di Ermes Ronchi pubblicata, nel gennaio scorso, nel Messaggero di Sant’Antonio . 

Nell’ultima settimana, tutte le sere Gesù rientra a Betania, nel villaggio delle case amiche. Ma il pellegrino dell’assoluto non può fermarsi: «Andate in città, vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua, seguitelo, e là dove entrerà dite al padrone di casa: dov’è la mia stanza in cui possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta, lì preparate la cena per noi» (Mc 14,13-15).

È l’ultima casa in cui Gesù entra da libero. L’ultimo spazio accogliente è questa abitazione di un amico, probabilmente benestante, una dimora a più piani, ben arredata, con spazio sufficiente per Gesù e il gruppo – non piccolo – di coloro che lo avevano seguito dalla Galilea: i discepoli e «numerose donne che erano salite con lui a Gerusalemme» (Mc 15,41).

Qui celebra l’ultima cena con gli amici, la prima di molte, innumerevoli altre cene. Senza esitazione, i primi cristiani fanno proprie anche le opzioni pratiche di Gesù e scelgono lo spazio accogliente e caldo di una casa per riunirsi a spezzare il pane in sua memoria (cfr. Atti 2,42; 20,7-11) e per ascoltare gli apostoli.

È un fatto rilevante che la liturgia cristiana nasca, per così dire, «in casa», in un’atmosfera familiare, intima e affettiva. Pur continuando a frequentare il tempio e la sinagoga, i discepoli si ritrovano nel contesto ospitale di una casa e della famiglia che la abita: è nella casa di Maria, madre di Giovanni detto Marco, che sono raccolti in preghiera quando li raggiunge, nella notte, Pietro miracolosamente liberato dal carcere (cfr. Atti 12,12): tra le mura di una casa amica, dove la vita è più intima e libera, creativa e generante.

La prima struttura della comunità di cui abbiamo memoria è la «assemblea presso la casa», o «chiesa domestica», che nel mondo romano assumerà il nome di domus ecclesia, letteralmente «casa della comunità». Questa esperienza dei secoli incandescenti si prolungherà fino ad avvolgere con la memoria dei primi tempi le cattedrali e gli edifici di culto, che prenderanno da domus il nome di «duomo», e da ecclesiae il nome di «chiesa», in origine non edificio ma assemblea.

La prima cattedrale non è quella solenne e monumentale delle città, ma è e rimane domestica e familiare. E il primo altare del mondo è la tavola di casa. Per i primi tre secoli, vennero scelti edifici ben mimetizzati nel tessuto urbano e per lo più di modeste dimensioni. Case che dall’esterno sembravano normali abitazioni private, mentre all’interno comprendevano locali adibiti al battesimo, all’eucaristia, alla preparazione di coloro che iniziavano il cammino di fede.

Non si trattò tuttavia solo di una necessità o di un caso. Nell’esperienza cristiana più autentica Dio è di casa. Si è fatto uomo, sceglie di abitare fuori dalle mura del tempio, entra e abita nella casa degli uomini, pranza e cena con loro, condivide con gli uomini gli spazi della quotidianità. Veglia sul loro sonno, sta coi bambini mentre giocano, accompagna i gesti e i mestieri di ogni giorno, il lavoro, lo studio, i rumori e gli odori della cucina. 

Solo un Dio che si è fatto uomo può scegliere di abitare fuori dalle mura del tempio, nella stessa casa dell’uomo, nella «profana» dimora dei mortali. E sarà così per sempre, perché è nella natura stessa del cristianesimo.

Alle volte mi sorprende un sogno: che bello se tornassero le domus ecclesiae! Se ritornassero in ogni contrada, in ogni via, in ogni condominio le chiese domestiche e familiari, intime e calde, dove gli amici si incontrano per ascoltare la Parola, intercedere per il mondo, spezzare il pane in memoria di Lui. La prima comunità cristiana si è radicata nella quotidianità espressiva della casa.

Da lì può ancora ripartire. Perché lì, dove la vita celebra la sua liturgia, respira il Signore della vita.”

A cura di Ivo Camerini