L’Etruria

Redazione

Il Piccolo Principe di Riccardo Lestini

Un bel libro che tutti i giovani di oggi dovrebbero leggere

Il Piccolo Principe di Riccardo Lestini

All’inizio di quest’anno è uscito il romanzo “ Il Piccolo Principe è morto” di un nostro ex studente del Liceo “Luca Signorelli” di Cortona, Riccardo Lestini, oggi insegnante a Firenze, scrittore, sceneggiatore, regista e interprete delle sue opere. Il romanzo affronta una tragedia, di cui attualmente poco si parla: la morte per droga. Che non se ne parli, non significa, purtroppo,  che non si verifichi. La morte, annunciata nel titolo, incombe sull’intera narrazione, su cui grava fin dalle prime righe. Non annulla, però, l’attesa di una diversa soluzione. Il romanzo è legato al capolavoro di Saint- Exupery già nel titolo, e nel mantra, che ritorna ripetutamente in forma inaspettata: lui, “che non avrebbe mai scambiato un serpente che mangia un elefante con un cappello…”.  Lui è un Piccolo Principe degli anni 80 del secolo scorso: un ragazzo con il cuore di bambino, che rimane tale nel corso del romanzo: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, raccontata dai romanzi di formazione, qui non avviene. E poiché  solo i bambini riescono a percepire “l’essenziale che è invisibile agli occhi”, Piccolo Principe cerca nel mondo quello che il mondo non può dargli. Poche le vicende della sua vita, dominata dalla inquietudine di chi si sente escluso. Vorrebbe entrarvi, ma senza grande convinzione, e non vi riesce. Spaesato e incapace di trovare una sua collocazione, rimane a guardare smarrito quelli che “ce la fanno” ad avere una vita normale, ma senza invidiarli, forse nel convincimento nascosto che si accontentino. Il Piccolo Principe non la vuole neanche una vita normale: quello che vuole è un po’ di affetto, un po’ di amore. E l’illusione di averlo trovato dura poco, ma determina ogni sua scelta con il rimpianto e i tentativi frustrati di dare un senso alla sua vita. L’eroina, assunta una prima volta  inconsapevolmente, nell’illusione di potersi sempre fermare, diventerà, poi, nell’impossibilità di un’alternativa, una scelta che lo porterà alla morte. Solo un giovane poteva descrivere con tanta forza e verità un altro giovane. E l’autore non assume mai un tono di condanna o di assoluzione, mantenendo sempre un’oggettività e un distacco che può apparire crudele. In realtà è proprio questo modo di raccontare, apparentemente freddo e senza pietà,  che costituisce un potente strumento di dissuasione, producendo nel lettore lo stesso effetto di un pugno nello stomaco.  In realtà, il romanzo è tutt’altro che una lettura d’evasione: anzi è il forte impegno etico e sociale che lo caratterizza.  Tanti i personaggi che ruotano intorno al protagonista: nessuno di loro ricopre il ruolo del cattivo; ognuno, semmai, appare chiuso nella propria impotenza, nell’impossibilità spesso di soccorrere l’altro. Il personaggio più doloroso mi è sembrato quello della mamma: pochi tratti che diventano indelebili della sua condizione di madre e di donna. “ Madre:mai più di cinque minuti seduta a tavola, cena consumata in un isterico e continuo via vai dalla sala alla cucina e dalla cucina alla sala”. Ma soprattutto quando tenta un inutile approccio con il dolore del figlio e al suo rifiuto, “obbediente e rassegnata come le avevano insegnato, mammà si ritirò all’istante” . La mamma, più di ogni altro,  è il simbolo dell’incapacità dolorosa dei grandi di soccorrere i figli, che, anzi,  alzano un muro e li giudicano nelle loro debolezze e paure. Vana sembra essere  la speranza che l’aiuto venga da fuori. Il messaggio che il romanzo sembra suggerire è la necessità che ognuno si salvi da solo, trovando in se stesso la forza di tirarsi fuori da quel bozzolo che ognuno si costruisce intorno e dentro al quale si trova stretto e imprigionato. Solo il calore di un affetto o di un amore potrebbe aiutare Piccolo Principe, o forse la pietà e la solidarietà per il suo essere fragile, la capacità di ascoltare e di ascoltarsi. Il linguaggio è straordinario: ricco e profondo. E il discorso indiretto libero, di cui l’autore si avvale in punti importanti, riproduce il linguaggio giovanile nella sua immediatezza e ripetitività. Questo modo di esprimersi, volutamente caotico e trasandato, trasforma il Piccolo Principe in un giovane Holden umbro. Anche “sorella piccola”  richiama la Phoebe Caufield di Salinger, cui è affidata un’analoga, quanto inutile, funzione di salvezza. Ma qui finiscono le affinità: il protagonista del romanzo americano rientra alla fine nel mondo dei grandi, tra quelle regole che rifiutava; il Piccolo Principe compie volutamente quel salto verso cui tendeva dall’inizio. E il titolo ne preannuncia la fine. Ora, leggere un libro comporta sempre un ri-leggere, meglio se a distanza di anni, perché anche i libri “cambiano” con il lettore. Il libro di Riccardo si potrebbe, paradossalmente, rileggere anche al contrario, dall’ultimo capitolo al primo, perché ogni capitolo è in sé concluso. Così si potrebbe apprezzare di più il modo personalissimo di scrivere dell’autore, sempre alla ricerca di una parola, che, più e meglio, riesca a scavare nell’animo del personaggio. Mai come in questo caso le parole sono importanti. E nessuno conosce e sa usare le parole come Riccardo: parole che non ti aspetti, uscite dal cuore o dalla testa, o che, se prese in prestito dalle tante letture, rinascono come nuove nella frase e diventano solo sue.

Fiorella Casucci