L’Etruria

Redazione

Verso l’ otto marzo 2020

Due piccole, grandi storie di donne venute dall’Est-Europa

Verso l’ otto marzo 2020

In questi  giorni quasi da  tragedia greca, comunque  da panico sociale, come dice qualcuno, anche se ci si parla ad un metro di distanza e non ci si dà più la mano, le persone parlano di più e tornano a riflettere sulla vita, sull’altro come fratello, come prossimo con cui condividere il proprio pellegrinaggio sulla terra. Anche la gente, che si incontra in treno e con cui si scambiano  le classiche quattro chiacchiere  di conversazione civile ed educata, appare più disponibile a dialogare e a raccontarti di sé.  Si viene così a conoscenza di piccole, grandi storie. Storie belle e positive che  il giornalista di strada racconta volentieri ai lettori.

Parlando nei giorni scorsi con due signore che erano salite sull’ Intercity  Terontola  e viaggiavano nel mio stesso scompartimento, ho avuto la fortuna di apprendere di due storie di vita. Storie dure e dolorose, ma a lieto fine e belle e che, pur nell’essenzialità del riassunto, voglio qui segnalare al lettore come omaggio all’ancora tribolato cammino che la donna deve compiere nella nostra società neoliberista e che quest’anno festeggerà, senz’altro in tono minore, la tradizionale festa dell’otto marzo con mimose molto appassite.

Tania e Viola, nomi di fantasia con cui indico queste due protagoniste, sono donne quarantenni dell’Est che, arrivate in Italia sul finire del Novecento, lavorano nelle nostre terre da circa vent’anni e hanno costruito qui da noi la loro famiglia.

Sono sposate con aretini ed hanno figli ormai grandi,anche se adolescenti, che sono l’ orgoglio di mamme e di donne lavoratrici che sacrificano cuore e schiena per loro. Fanno i lavori umili di  pulizia nelle case e di assistenza agli anziani  ammalati o fisicamente inabili e che nel nostro oggi rappresentano un grosso problema, in quanto son sempre meno i figli di una volta che si trasformavano nel famoso “bastone della vecchiaia dei genitori”.

Tania e Viola passano la loro giornata correndo da una casa all’altra per il loro faticoso lavoro ad ore, ma sono sempre allegre e felici perché hanno la loro vita normale ed indipendente dopo aver visto, per fortuna senza entrarci,  da giovanissime la porta  dell’inferno dello sfruttamento e della miseria della vita del night, che ha avuto ( e forse ha ancora ) florido mercato anche ad Arezzo e dintorni.

Dopo aver pagato una lauta somma ad una loro connazionale (che aveva assicurato loro un lavoro nel bengodi Italia, ma in realtà era un’ amante "traffichina" di un  cortonese , che le aveva affittato gratuitamente la sua seconda casa , naturalmente all’insaputa di moglie e familiari), Tania e Viola, attorno al duemila ,arrivano in questa  casa cortonese che smistava ragazze dell’Est. 

Dopo una settimana in cui stanno  rinchiuse in casa e  continuamente illuse da promesse marinare della donna e del suo amico-amante , rifiutano di fare le entreneuses  in un locale notturno del Trasimeno e , seppur disperate e senza conoscere una parola di italiano, accettano di andare a fare le badanti di due anziani nel Valdarno aretino.

Lì imparano le loro prime parole della nostra lingua  e lì , seppur senza contributi, cioè al nero, lavorano per un anno accudendo, come figlie, mi dicono,  gli anziani che la fortuna ha fatto loro incontrare.

Alla domenica , loro giorno libero, vanno in giro per Arezzo o per Firenze. A casa degli anziani, che loro chiamano nonni , e nelle loro uscite domenicali, imparano le loro prime frasi della lingua italiana e cominciano a mandare qualche risparmio ai loro genitori nel paese d’origine.

Tra un’ insonnia e molte lacrime versate nel segreto della notte, ma felici di non essere finite nel buco nero dei locali notturni, Tania e Viola si affezionano alle loro nonnine e per circa tre anni fanno le badanti delle due ottantenni ammalate che , mi dicono, la “divina provvidenza ha fatto loro incontrare”.

Lavorano molto ,mandano i loro risparmi ai genitori rimasti nel loro paese natio e alla domenica vanno in paese dove frequentano una parrocchia e il suo oratorio.

Lì ancora giovani venticinquenni incontrano l’amore e ognuna  di loro il proprio  giovane aretino che la condurrà  all’altare. Mettono su famiglia. Famiglia operaia che si dà da fare e con il sudore della propria fronte cerca progresso e sviluppo. Hanno figli. Li allevano lavorando come tutte le mamme italiane e si sacrificano per mandarli a scuola fino alle superiori,  che oggi frequentano  con profitto..

Oggi ,con minor incombenze di assistenza familiare ai figli , lavorano da mane a sera nell’ambito del lavoro domestico , ma sono felici della loro vita italiana, anche se ogni estate, con marito e figli, corrono per un mese dai loro anziani genitori e fratelli rimasti al paese natio.

Storie semplici di normale migrazione di fine Novecento e primo nuovo secolo, ma storie che fanno riflettere tutti, anche coloro che ascrivono ogni male ed ogni delinquenza a coloro che sono arrivati nelle nostre terre dall’Est o dall’estero in generale.

Storie semplici , ma storie grandi di vita vera, vita tribolata e felice che in quest’otto marzo 2020 L’Etruria porta molto volentieri all’attenzione dei propri lettori per una festa della Donna, che, davvero, vogliamo sia tutto l’anno e non soltanto l’8 marzo in ricordo della tragedia del  1911 quando a New York cinquecento “donne camiciaie”americane  della “Triangle Waist Company” , morirono nell’incendio della loro fabbrica, dove lavoravano segregate e schiavizzate, assieme ad altri cento giovani uomini,che bruciarono con loro.

Ivo Camerini