Schivo e riservato, di Bruno Benigni ebbi la prima impressione, più che favorevole direi entusiastica, dal dottor Emilio Farina. A Cortona, negli anni Ottanta, eravamo alle prese con seri problemi sanitari, tra cui: l’incontrollato inquinamento da deiezioni suine; la mancanza del depuratore anche per i liquami urbani; e le diatribe sul futuro ospedaliero in Valdichiana, conteso tra Cortona e Castiglion Fiorentino, in previsione della riorganizzazione, per cui sarebbe sopravvissuto un solo ospedale. (In Consiglio Provinciale, il parere sul progetto del nuovo ospedale a Fratta passò con due voti favorevoli, il mio e di Bruno Borgogni, e uno contrario della Consigliera di Foiano, tutti gli altri, dei trenta Consiglieri, astenuti!... per dire il clima pilatesco prevalente).
Presidente della Banca popolare di Cortona, Direttore del Laboratorio provinciale di igiene e profilassi, Farina, liberale, mi colpì col giudizio su Benigni, comunista, (che egli ebbe assessore provinciale dal 1970 all’80), elogiandone la coerenza sulla tutela della salute a tutto tondo. Partendo dalla prevenzione, in cui Farina era impegnato, e Benigni gli aveva fornito linee guida e strumenti utili ai suoi compiti. Tra Benigni, di Castiglion Fiorentino, e me, sindaco di Cortona, entrambi comunisti, le occasioni d’incontro prima d’allora erano state poche, tali da non consentirmi un’opinione compiuta sulle capacità del navigato amministratore, salvo la sua fama nazionale acquisita nell’impegno al superamento dei manicomi. Argomento su cui, in Internet, è documentato il valore di Benigni in tema di salute mentale, a cui si dedicò, smesse le vesti d’amministratore pubblico, nel “Centro F. Basaglia” da lui promosso e presieduto. Fino alla campagna a sostegno della legge 81/2014, che fissa la chiusura definitiva degli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari), a un anno dalla sua scomparsa, il 21 agosto 2015.
Divenuto assessore regionale alla Sanità, nel 1983, pesai subito il valore di Benigni, conoscitore dei nostri principali assilli territoriali. A distanza di poco tempo, da un progetto all’altro, si presentò con progettisti e finanziamenti già definiti: sia per il depuratore di Monsigliolo, sia per il nuovo distretto socio-sanitario di Camucia. Fin’allora, servizi e uffici, oggi raccolti nella cosiddetta Casa della Salute, erano sparsi in varie sedi, molte non possedute dalla USL. Si trattava d’investimenti, in lire, d’una decina di miliardi. Ciò accadde per semplici convergenze programmatiche. Senza particolari pressioni locali. Benigni – che, primo, adottò un Piano Sanitario regionale toscano - aveva fatto proprie le previsioni del Bilancio di Cortona, valutate in linea con gli indirizzi regionali. In un caso e nell’altro, si trattò di scelte epocali. Soprattutto, sopperire alla mancanza del depuratore rappresentò una novità assoluta, prevedendone l’“uso plurimo”: sia per reflui urbani che animali. Dal medioevo, dello spargimento dei liquami sui fossi, si passava alla modernità del risanamento territoriale. Grazie a Bruno Benigni. Il quale addossò alla Regione i costi principali, altrimenti spettanti al Comune, utilizzando la formula dell’“uso plurimo”. Il Comune era sommerso nella cacca dei suini per una popolazione equivalente a centinaia di migliaia di persone, neanche fosse stata una metropoli!
Dopo l’85, terminato il mandato di sindaco, ed entrato nella sfera d’azione politica provinciale, incontrai più volte Benigni, del quale m’ero fatto piena nozione sui trascorsi alla Provincia di Arezzo e, sul presente, da Assessore regionale toscano e stimato esperto, a livello nazionale, nel settore di sua competenza: la sanità. Competenza non fine a sé stessa, bensì improntata all’attuazione dei principi costituzionali d’una sanità universale, non discriminante le condizioni sociali ed economiche del cittadino-utente. Per l’infrastrutture sanitarie, inoltre, fu determinante sia nel procedimento del nuovo ospedale di Fratta, superando i precedenti nosocomi, sia nel privato, autorizzando il Centro diagnostico “Andrea Cesalpino”, a Terontola.
Delle ultime occasioni d’incontro con Benigni, ricordo la partecipazione da delegati al XIX ultimo Congresso del PCI a Bologna, nel 1990, nel quale, tra mille contrasti, se ne sancì la fine. Benigni cercava, anche da noi più giovani, argomenti per convincersi sulla necessità d’un passaggio su cui era poco convinto. Come l’eravamo in tanti. Convinti della necessaria evoluzione d’una forza politica, ma non della sua liquidazione, che di fatto avvenne. Persa la forma, venne meno anche la sostanza politica: avendo scaricato i ceti sociali di riferimento tradizionali, il mondo del lavoro, e rinunciato alla critica e contrasto alle molte storture del capitalismo. Vidi, nelle reazioni di Benigni, una sofferenza persino fisica a capacitarsi, più di noi giovani, incautamente guasconi, che pensavamo la soluzione adottata la meno peggio, nelle circostanze storiche del crollo del sistema comunista sovietico. Benigni, come la gran massa di attivisti, s’accodò alle direttive del nuovo partito, il PDS. Da cui non ricevette più altri incarichi istituzionali, finita la decennale esperienza regionale. Avrebbe meritato un seggio in Parlamento, che non gli fu offerto. L’evoluzione politica, tra le altre cose, avvenne per far fuori i vecchi dirigenti, senza andare per il sottile, meritevoli o meno non importava. Al Congresso di Bologna, per poco non venne rieletto lo stesso segretario Occhetto! Segnale inquietante, anche se avrebbe meritato d’esser fatto fuori, ma coloro che attendevano di sostituirlo, non so quanto, per Benigni, rispondessero ai suoi criteri di comunista e cattolico severo e rigoroso nell’impegno quotidiano, per sé stesso innanzi tutto, mai dimentico dei ceti sociali più disagiati da difendere. In tal senso, ligio ai suoi principi, rimase un compagno coscienzioso, anteponendo alla carriera un infaticabile impegno.
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