Figli di Dardano
Un gruppo di Etruschi di Cortona, migrati probabilmente per aver sostenuto tragicamente Mario nelle lotte contro Silla, fondò nel I secolo a.C. una colonia in Africa, più precisamente nella valle dell'Uadi Milian, in Tunisia, scrivendo nei cippi di confine la frase “figli di Dardano”.
L'attaccamento alla propria terra è palese nel richiamo al proprio eroe cittadino, quel Dardano che addirittura secondo Virgilio da Cortona sarebbe partito per fondare Troia.
Tanti viaggi, un unico pensiero fisso, la patria, come prima Ulisse per Itaca, come poi gli esuli Etruschi in Africa per Cortona.
Da questa storia d’amore e migrazione prende il nome la rubrica. che racconta quei cortonesi che, per ragioni spesso professionali, hanno scelto altre città, altre nazioni, altri continenti senza dimenticare il loro paese, la loro terra.
Intervista a Valentina Cardinali
Come il teatro ci curerà
Iniziamo il 2021 come lo avevamo chiuso: con un’intervista a un nostro conterraneo. Se nell’ultima intervista avevamo parlato di dolore e speranza, vogliamo ripartire con una parola nuova: energia ed emozione, uno stato di grazia che solo il teatro sa dare.
Valentina Cardinali ha scelto questa arte per cospirare affinché queste due sensazioni all’unisono vibrino dentro di noi. Uno, due, tre… Si va in scena…
Ciao Valentina, grazie della tua disponibilità... Per prima cosa ti chiedo di raccontare la tua storia artistica? Perché l'attrice?
Ho capito che volevo recitare per il resto della mia vita molto presto, durante la recita di fine anno in quinta elementare. Dopo il liceo ho fatto di tutto per poter entrare in una Accademia di Teatro e fortunatamente è successo. Nel giugno 2011 mi sono diplomata alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e da lì è iniziata la mia carriera tra alti e bassi, delusioni e grandissime gioie. Ho preso parte a molti progetti teatrali, ma solo negli ultimi anni ho trovato la mia “casa”, ossia la compagnia “Contenuti Zero” che lo scorso 13 febbraio fu in scena anche al Teatro Signorelli di Cortona.
L’attrice perché… Oltre al fatto che recitare è molto divertente e prendersi gli applausi è molto gratificante, soprattutto perché gli attori e gli artisti in generale ricoprono un ruolo fondamentale nella società e nello sviluppo di essa. Anni fa divertimento e gratificazione mi potevano bastare per essere in pace con questa scelta, adesso non mi bastano più, ora ho necessità assoluta di sapere che il mio lavoro non serve solo a me, ma serve ad aiutare, a stimolare, a divertire, a commuovere, a risvegliare la coscienza e il cuore di chi, come me, non cerca di far altro che districarsi in questa vita così ricca e a volte così crudele.
Giochiamo un po'... Quale maschera della commedia dell'arte sei? E quale personaggio vorresti interpretare?
Mi piace Stenterello! La maschera toscana per eccellenza, si esprime in vernacolo fiorentino, con espressioni colorite, ma mai volgari. È chiacchierone, impulsivo e pauroso ma ha sempre la battuta pronta. Basso, gracile e sdentato è un personaggio malandato e sempre senza un soldo, tuttavia sa essere arguto, saggio, ottimista e alla fine se la cava sempre. In qualcosa mi ritrovo e in altro meno ma se dovessi mettermi una maschera di certo mettere questa!
Amo tutti i personaggi femminili di Checov, ognuno di loro si porta appresso un carico di vita esaltante e straziante al tempo stesso. Interpretare i personaggi checoviani è la miglior palestra che un attore possa praticare per sviluppare la propria sensibilità e la capacità di sottrarsi per far spazio a un personaggio molto più grande ed emblematico di lui. Checov ti costringe a una ricerca profonda, dentro al testo prima di tutto e poi dentro di te, di una verità, spesso scomoda e dolorosa, che chiede di essere resa con sincerità e con amore. Disarmanti e disarmate le donne checoviane ci insegnano a resistere ma anche ad arrenderci alla follia di un mondo freddo dove non si può far altro che cercare un raggio di sole.
In francese recitare si dice “jouer” e il teatro o qualsiasi tempio sono luoghi per loro definizione fuori dal tempo e dello spazio… Ma inutili senza uno che racconta e qualcuno che ascolta... Come curare il teatro dal covid che gli impedisce questa sacralità?
Una cura io purtroppo non ce l’ho, so solo che quando questo incubo sarà finito, la voglia di fare teatro, di giocare, di guardarci negli occhi senza il filtro inerme di uno schermo sarà tale che tutti noi ringrazieremo Dio per averci dato il teatro, i concerti e le serate danzanti. Ci sarà una esplosione di vitalità, probabilmente graduale ma di certo inarrestabile e catartica, che ci investirà con una potenza inaudita. Nel frattempo possiamo studiare, sentire, riflettere e soprattutto prendere coscienza di ciò che è stato, perché questo Covid e i suoi morti non vengano né dimenticati né demonizzati. Che il teatro possa aiutarci a rimetterci in sesto, dal bambino che non ha visto gli amichetti per mesi alla signora che è stata chiusa in casa da sola con la paura di prendersi il virus, questo mi auguro. Io di certo ci sarò perché anche le mie ferite vanno rimarginate e so per certo che l’arte e il teatro possono curare qualsiasi male.
Ultime due domande...
I tuoi nuovi progetti o quelli che hai dovuto interrompere?
Io e la mia compagnia abbiamo dovuto rinunciare a molte date. Ho perso anche delle repliche di un altro spettacolo, i provini per il prossimo anno sono saltati tutti e anche la vendita degli spettacoli per la prossima stagione è saltata. Al momento è come se avessimo perso due anni, e a questo punto mi auguro che siano solo due. La situazione è drammatica, molti attori dovranno cambiare mestiere per poter pagare l’affitto, molti attori potrebbero avere grossi problemi a risalire su un palco, ma bisogna tenere duro e non dimenticare che l’emergenza sanitaria è di primaria importanza e che tutto il resto viene dopo. Spero che il governo possa riflettere più approfonditamente sul ruolo degli artisti e dei la-voratori dello spettacolo in generale, mettendo in discussione il modus operandi adottato fin qui da tutti i governi precedenti e trovando soluzioni più dignitose e funzionali a favore di questa vastissima categoria di lavoratori.
Cortona. dove sta Cortona per te? Nemo profeta in patria, eppure la tua performance al Signorelli è stata accolta con tanto affetto.
Bella Cortona mia! Sono dovuta andare a Milano per accorgermi di quanto l’amassi. È un luogo che ho detestato in molti periodi della mia vita e un luogo dove forse non vivrei neanche ora, ma la sua essenza è parte integrante di ciò che sono, del mio umorismo, del mio modo di rapportarmi con le persone. Non amare Cortona sarebbe come non amare me stessa, e non amare sé stessi è davvero un gran peccato. Credo che sia difficile essere delle brutte persone se si viene da un posto così bello. “There’s no place like home” diceva Dorothy Gale ed è vero, c’è un senso di appartenenza così forte tra queste quattro mura che sembra impossibile sentirsi soli qui.
“Sincopatica” è piaciuto molto al pubblico cortonese ed è stata un’esperienza bellissima sia per me che per i miei collaboratori. Il comune si è adoperato perché tutto fosse fatto nel migliore dei modi e non posso che essere grata. Spero di allietarvi preso con nuove mirabolanti avventure!
“Non amare sé stessi è davvero un gran peccato”, bastano queste parole per iniziare un nuovo anno. Semplici, essenziali, fortissime, affatto scontate. Il teatro, da quello greco a quello degli oppressi di Augusto Boal, non è benda o sutura: è rinascita.
Grazie Valentina, voi artisti ci aiuterete a rinascere., a non avere paura, a toccarci, a stare vicini, a ridere… A usare maschere per giocare, non per sfuggire.