Su Fb di quest’oggi abbiamo trovato questo nuovo bel post che volentieri pubblichiamo per i nostri lettori. Grazie, Anna! ( IC )
Diario di QUESTI GIORNI - 2
Prima che tutto succedesse, c'erano notti in cui andavo a dormire con davvero tanta ansia per tante cose, il lavoro zoppicante, i debiti, i figli, la salute, l'età che corre, la solitudine, le persone care, le occasioni perse, gli uomini stronzi che li incontravo tutti io, i litigi, le separazioni, le delusioni, le parole sbagliate e quant'altro.
Però ogni volta prima di dormire facevo un pensiero che era lo stesso di quando andavo a dare gli esami all'università: siccome avevo studiato, (mai abbastanza, ma qualche nottata all'ultimo sì), non era proprio possibile che l'esame potesse andare male, era assolutamente impensabile. Se fosse andato male voleva dire che la Terra girava al contrario. "Meglio un somaro vivo che un dottore morto" diceva sempre mio padre. Io voglio essere un dottore vivissimo, pensavo.
E anche un mese fa, prima che tutto succedesse, cercavo di andare a letto la sera con il pensiero che non è possibile che le cose non si rimettano a posto, che non tornino bene, che i problemi non si risolvano. Non è proprio pensabile perché, dico, siamo tutti nati con dentro il potere della felicità, (parola di merda), o forse, della contentezza, (meglio), della serenità (altra parola di merda), dello stare bene, (ecco), della soluzione di alcuni problemi (sì), del ritorno alla possibilità di respirare meglio (ohhh!).
E con quel pensiero non ho mai sofferto di insonnia. Poi magari mi sveglio alle tre e addio, però quel momento del passaggio dalla veglia è sempre un momento positivo.
Ora, in queste notti, io quel pensiero lo faccio anche di più.
Vado a letto e ci sorrido addirittura, con l'idea che non è assolutamente pensabile che domani sia peggio di oggi, che i numeri crescano e con i numeri la nostra paura. Vado a letto addirittura sorridendo nella convinzione che "andrà tutto bene" e dormo immediatamente senza valeriana.
Poi purtroppo la mattina dopo, o il giorno dopo alle 18, vengo smentita. M'ero immaginata tutte cazzate. E la giornata è difficile, come per tutti. Ma io la sera torno a letto e ci riprovo. Non è pensabile che... eccetera. La terra andrebbe al contrario e di nuovo, domani, domani, domani sarà meglio di oggi. E di nuovo ho toppato, una traveggola proprio. Fine.
Quando parlo con le mie amiche assumo il tono della fiducia innata. Loro, a tratti, sono abbattute, sfiduciate, sono donne sane e ragionevoli. Io passo per quella sempre positiva e ottimista. Sì, sì. Scrivo il diario su fb, cucino, faccio ginnastica, suono. Ma la verità è che chiudo la telefonata e sono più sfiduciata di loro, e in casa faccio degli urli da isterica matta appena sbatto poco poco la testa sul lampadario (troppo basso ma mi piace così), o appena non mi funziona una cosa tecnologica, (ma sono io che non voglio mai imparare la tecnologia perché sono pigra), o appena mi cade un barattolo di sugo (ma sono io che sono maldestra).
Ho sentito mia figlia che rideva col padre, raccontandogli: "mentre dormivo la mamma mi ha misurato la febbre, così, senza motivo". E l'altro figlio: "L'ha misurata anche a me, stavo dormendo così bene... sta fuori di testa eh?" Che è vero, l'ho fatto, anche più di una volta. Mentre dormono mi sembrano sempre caldini e de sti tempi vai a sapere che significa quella fronte caldina. Un po' come quando da neonati li stuzzicavamo fino a svegliarli e farli piangere ma almeno eravamo sicure che erano vivi. (Non lo avete mai fatto? bugiarde!). Ma poi il termometro mi tranquillizza e la verità è che sono freschi come susine. Per dire, il mio ottimismo sfrenato. Così ottimista che a volte immagino che chi ci governa, e anche i grandi scienziati, sappiano cose che non ci dicono: ossia che il virus tra poco sarà così potente che infetterà tutta l'aria che respiriamo, ma proprio tutta, anche quella che entrerà dentro le finestre di casa, e muterà abbastanza da essere mortale per tutti, e il mondo finirà del tutto. Fine. Bum. Quando vedo alle finestre che "tutto andrà bene" mi sembra un'immensa cazzata. "Tu sei sempre ottimista Anna".
Bene. Ora decido che un po' voglio esserlo davvero, fiduciosa nel bene, e non fingere come faccio al telefono. Ho scritto questa frase e sotto la finestra la mia gatta ha fatto un urlo perché litigava con un'altra. Sono scesa a separarle e ad accarezzare la mia che si è calmata. Anche le gatte stanno diventando insofferenti. Ma torno a dire che voglio crederci. Anche se non sappiamo niente. In questi mesi si sono formati centinaia di gruppi di ricerca che stanno lavorando sul virus e penso che solo loro potranno dirci qualcosa, non altri, non gli alternativi naturisti che ce l'hanno sempre con chi studia la chimica.
Ieri qualcuno ha scritto: il virus siamo noi, il corona sono solo gli anticorpi. Che voleva dire non l'ho capito, ma sicuramente voleva dire qualcosa.
Io da un paio di giorni ho deciso che voglio mettermi in testa il senso della fiducia anche di giorno, non solo quando vado a letto. Voglio affidarmi a chi sa, e a chi lavora, a chi non dorme, a chi non mangia, a chi sta lontano dai propri bambini, a chi piange perché gli muore qualcuno davanti. Se ci sono così tanti, così tanti esseri umani che non fanno mai marcia indietro e restano coraggiosi, e passano le notti a toccare con le mani i malati rischiando di ammalarsi loro, tenendosi per sé la paura, ma al tempo stesso facendo guarire la gente, io mi voglio fidare. Se penso che ci sono migliaia di studiosi che passano le notti a studiare come guarirci tutti o impedirci la prossima volta di essere contagiati, io mi voglio fidare. Se sento che dalle scrivanie di chi decide per un paese ci dicono "noi ci siamo", io mi voglio fidare. Se penso che tutti noi, i miei amici, i nostri figli, tutti coloro che incontreremo di nuovo in autobus e in treno, stiamo vivendo questo periodo d'angoscia, d'orrore e di clausura, piagnucolando molto meno di quello che avremmo mai immaginato, io mi voglio fidare.
Questo non vuol dire che il male visto e ricevuto sarà messo da parte. Non succederà mai. Purtroppo, dicono, ne vedremo ancora, perché non è che stasera o domani i contagiati e gli andati via saranno finiti. Sarebbe una magia, un miracolo di fantascienza.
Ci ricorderemo questo tempo ogni volta piangendo. Lo ricorderemo in bianco e nero ma senza la poesia del neorealismo. Secondo me piangeremo ogni volta e se non lo faremo con le lacrime, lo faremo comunque da dentro. Ci sembrerà di sentirci sotto una colonna sonora di un film struggente. Piangeremo sempre, ricordandoci di oggi.
Però io oggi mi voglio fidare. Finirà. Finiranno i contagiati. Finiranno i morti per il virus. Finirà il virus. Finiremo di pensare questa cazzata che siamo noi il virus. Finiranno i turni massacranti di chi ci lavora appresso. Finirà questa brutta merda.
Metto questa foto che mi fece mio fratello Umberto un Natale di tanti anni fa, durante un grande pranzo di famiglia in cui io e lui eravamo usciti a fumare. A quel tempo studiavo Lettere ed ero piena, strapiena, di fiducia su tutta la vita che doveva ancora arrivare.
Anna Cherubini