L’Etruria

Redazione

"E non volevamo avere di più"

Intervista a Marcelllo Bronzetti dopo il successo del suo Oratorio ispirato a San Francesco

"E non volevamo avere di più"

Fin dall'inizio della bella esperienza del Festival cortonese di Musica Sacra (quello appena concluso è il ventunesimo) li ho ascoltati e li ho seguiti tutti gli oratori di Marcello Bronzetti, ma quello di quest'anno rappresenta secondo me un’efficace e inaspettata rottura con la sua opera fin qui fecondamente portata avanti. Per quanto poco o nulla conti il mio giudizio critico, questa volta ha dimostrato di essere degno erede del suo maestro Marco Frisina. Il testo che si dipana attraverso i flashback evocati dai ricordi di frate Elia, dona alla storia un ritmo incalzante che nulla toglie però alla profondità spirituale dell'evento cristiano più rivoluzionario dopo Gesù, cioè quello di San Francesco. Ma è soprattutto con la musica che, "e non volevamo avere di più", questo è il titolo, raggiunge il vero obiettivo, lo spettatore non è più tale ma diventa oggetto, parte integrante di una formidabile e toccante testimonianza, così da venire trasportato in un turbine di sentimenti ed emozioni attraverso le quali ripercorre le tappe salienti della vita, della conversione, della testimonianza e infine della santità di Francesco D'Assisi, e questo capita quando per la prima volta, se non sbaglio, Bronzetti rinuncia all'orchestra canonicamente composta e affida alla sua chitarra la parte principale dei temi armonici e degli accompagnamenti. “Sarà un oratorio particolare, speriamo bene!” così, modestamente mi aveva detto poco prima dell'inizio Marcello Bronzetti, ma poi gli applausi, l’entusiasmo del pubblico che gremiva le panche della chiesa di San Domenico hanno dimostrato che la sfida è stata vinta. La musica non ha bisogno di effetti speciali, di virtuosismi, di grandi orchestre, ma di cuore e di ispirazione artistica che nel caso di Marcello Bronzetti nasce da una profondità di fede confermata in ogni parola e in ogni nota della sua opera. Ringrazio Marcello Bronzetti per avermi rilasciato questa intervista.

Partiamo subito dal titolo, “e non volevamo avere di più”. Qual è il senso, o forse addirittura il significato di questo titolo?

Ecco, è un oratorio che esprime l'essenzialità alle persone, ai giovani soprattutto, quindi il titolo è cosa importante, “e non volevamo avere di più”. Tra l'altro sono parole proprio di San Francesco, presenti nel suo testamento, quando dice, avevamo questo, abbiamo fatto queste cose, e ci bastava un cingolo, e non volevamo avere di più. Questo poi alla fine è il vero messaggio che esce fuori cioè di quanto sia importante l'essenzialità, capire proprio che cosa è importante della vita.

Perché scrivere ancora un'altra opera su San Francesco, ce n'era bisogno?

Beh, intanto si celebrano quest'anno gli 800 anni delle stimmate e questi anni sono abbastanza densi nel mondo francescano, proprio per le varie ricorrenze che si susseguiranno. Poi perché nei primi anni del festival abbiamo fatto un oratorio su Santa Chiara nel monastero delle Clarisse. Farlo su San Francesco era importante. Parlare di lui è molto difficile perché ne hanno parlato tutti. È un personaggio talmente nel nostro tessuto vitale, lo conosciamo fin da quando siamo piccoli. Quindi raccontarlo è stata, ed è per tutti una cosa difficile, cercando di non ripetersi per quanto di fatto è impossibile non ripetersi. In certi momenti non sapevo da dove cominciare e allora ho chiamato i francescani a me più vicini nella mia vita, quindi padre Daniele, madre Luciana delle clarisse di Cortona, madre Elena Francesca delle clarisse di Roma, padre Andrea che adesso è il provinciale dei Cappuccini, padre Massimo che è il guardiano delle celle di Cortona e altri, ho chiesto loro che cosa pensassero di Francesco, ognuno mi ha dato una pillola che è stata fondamentale nella composizione dell’oratorio. E comunque ho voluto parlare di Francesco sotto l’aspetto della nudità progressiva che è la sua vita, di questo incontro che lo porta a spogliarsi di tutto quello che è realmente superfluo nella nostra vita e concentrare la sua vita nel Vangelo.

Cosa può dire o suggerire la storia del poverello D'Assisi alle nuove generazioni, divise e forse un po' confuse, tra una canzone rap, i social e l'intelligenza artificiale?

Beh diciamo che, come ho detto prima, Francesco può dire l'essenzialità, la verità del Vangelo che punta a svelare le cose veramente importanti. Anche questo fatto di far capire che il tempo di Francesco, proprio come comincia l'oratorio, racconta di un mondo che sicuramente è molto diverso da quello di oggi per quanto riguarda le relazioni, le possibilità che c'erano a quel tempo, però poi le problematiche sono invece molto simili: la povertà e ricchezza, le guerre, la tensione, l'attesa di un futuro da migliorare. La domanda che a un certo punto deve venire in mente rispetto a tutto quello che abbiamo davanti è “quali sono le opportunità che abbiamo anche attraverso i mezzi nuovi come possono essere l'intelligenza artificiale o i social? come ci possono aiutare questi mezzi che devono rimanere strumenti per insegnarci a scoprire l'essenzialità? Può sembrare una contraddizione ma se ci concentriamo sull'utilizzo di questi strumenti per entrare nell'essenzialità del messaggio del Vangelo, questa sarebbe la vera rivoluzione.

Come ti è venuta la bella idea di Frate Elia da Cortona che racconta gli eventi salienti della storia di Francesco?

Beh, prima cosa, a Cortona non si può fare a meno di parlare, di far rivivere Frate Ellia. In qualche modo, è un personaggio particolare, bello, estremo, con tante caratteristiche, tra l'altro adesso confinato in un angolo di una chiesa. E’un personaggio che si butta diciamo così a capofitto nella storia di Francesco, come amico di Francesco che voleva pacificare, che si rende conto comunque di come sia importante far conciliare il mondo laico con quello della fede, quindi è qualcuno che sta dentro di noi, qualcuno che è in questa storia. Poi ad un certo punto si ritrova a dover prendere in mano tutto quanto. Chissà quali domande si è posto, quali problematiche ha avuto, come ha vissuto tutto questo periodo, quindi ecco un personaggio totalmente variegato che incontrandolo ti porta dentro, ti prende in mano, ti porta dentro la storia.

Passando alla parte musicale. Rispetto ai tuoi precedenti oratori a cosa si deve il cambiamento, quantomeno il ridimensionamento dell'ensemble musicale che accompagna l'opera e perché la scelta di affidare proprio alla chitarra la parte principale?

L'oratorio cerca proprio quello che abbiamo detto fin dall'inizio: l'essenzialità. L'orchestra è qualcosa di veramente unico, bello, completo, però temevo in qualche modo potesse togliere qualche cosa alla semplicità, all'essenza del messaggio di Francesco, nel senso di rischiare, certe volte, di prendere troppo spazio e quindi sta l’essenzialità anche nella scelta degli strumenti. Mi chiedi perché la chitarra? La chitarra è stato il mio primo strumento, sono nato con la chitarra, quindi è qualche cosa che fa parte di me e poi potremmo dire che è uno degli strumenti di eccellenza di come certe volte si incontra la musica: la chitarra per le scale di una parrocchia, in piazza, è lo strumento che ci possiamo portare appresso tranquillamente per cantare con gli amici o per cantare da soli, è uno strumento particolare, unico, bello, è una compagna di vita, ecco un po' questo. In qualche modo la chitarra è, diciamo così, il suono del cammino di Francesco. Se vogliamo è il suono del cammino di ognuno di noi. Tutto gira un po' intorno all’essenzialità a cui accennavo prima. Come se la chitarra insomma potesse dare musica a quello che poi è il Vangelo.

Perché la tua scelta di dare voce solo alle donne che hanno attraversato la vita di Francesco?

La storia di Francesco quando si racconta, racconta il mondo. Il tempo di Francesco è pieno di personaggi, ovviamente concentrare, sintetizzare tutto quanto su un'ora di musica è impossibile, porta a delle scelte anche rischiose, delle scelte comunque impegnative. Ho pensato che sarebbe stato bello descrivere ognuno, ogni persona di quelle che stavano intorno a Francesco, quindi parlando anche di personaggi maschili, il padre, il papa, frate Leone, Bernardo, tutte le persone che lui incontrava. Ma torniamo al punto dell'essenzialità, l’obiettivo è stato quello di dare centralità a Francesco e basta, solo lui, in modo da capire che queste persone esistono in questa storia in quanto è Francesco che li porta per mano dentro questa storia, dentro questo conoscere il Vangelo. I personaggi femminili sono la povertà, la madre, frate Jacopa, e ovviamente Chiara. Sono loro i personaggi che in qualche modo fanno parte di Francesco, anzi sono Francesco! La madre perchélo ha generato, perché chissà come ha seguito con sofferenza il distaccarsi di suo Figlio dalla famiglia. Frate Jacopa è il personaggio che lo segue in una dimensione diversa, diciamo la laica di punta tra i seguaci di Francesco. Poi Chiara, si dice sempre che non ci sarebbe stato Francesco se non ci fosse stata Chiara. Un legame profondo, una relazione molto spesso travisata. Il loro invece è stato un rapporto profondo fondato sul rapporto che entrambi avevano con Dio. Si rincorrono in questa storia a seguire il Vangelo e poi ognuno trova una forma di vita diversa e adatta a quel tempo.

A proposito di interpreti, ho notato un'età media molto bassa nell'oratorio su San Francesco, una scelta o un caso?

Un vecchio detto dice il tempo passa per tutti. Speriamo che questa media bassa di età nella corale abbia un seguito, perché diventi sempre più importante, proprio perché è importante che ci sia una continuità in questa cosa. Il sogno che penso che abbiamo ognuno di noi è che un giorno il Festival di Musica Sacra ci sia qualcuno che continua a farlo con lo stesso spirito con cui è stato portato avanti in questi anni, fisiologicamente non potremmo essere noi. Tra l'altro questa volta era importante che ci fossero due giovani che facessero Francesco e Chiara essenzialmente. La nostra Fatima Rosati già aveva cantato con noi interpretando Bernadette nell'oratorio Aquerò e dando voce e corpo a Elisabetta della Trinità. Francesco è una new entry, ecco Francesco colpisce nella sua semplicità, nel suo sorriso, nella sua capacità di trasmettere questa semplicità, questa è la sua grande forza.

Diciamo che il coro Fideles et amati e i solisti tutti quanti, sono delle persone splendide. Non è un coro di professionisti ma è un coro dove ci sono belle anime.

Nel finale è stato invitato il pubblico, in particolare alcuni frati, a diventare protagonisti ballando e cantando. E’stata un'eccezione per la rappresentazione dell’oratorio a Cortona o invece è previsto dal copione?

Diciamo che previsto nel copione lo è, nel senso che il coinvolgimento è venuto normale perché a Cortona ci stanno tutti i francescani possibili e immaginabili. Poi tra l'altro il festival nasce proprio all'eremo delle Celle, quindi il coinvolgimento dei francescani veniva da sé. Il coinvolgimento del pubblico è una cosa che noi, non tanto per copione, ma lo cerchiamo quando è possibile, nel senso che poi, come tu mi insegni, ci sono certe volte dei messaggi che arrivano per la lettura da parte del narratore, arrivano nel testo, arrivano nella musica e poi c'è linguaggio del movimento. Ogni volta che possiamo coinvolgere coinvolgiamo, proprio perché poi alla fine non è un concerto, è un oratorio, è un momento che si sta insieme, è un momento di condivisione e laddove si può condividere questa cosa tocca farla, ecco questo è importante. Tra l'altro l'arte deve essere condivisa, l'arte è un messaggio di Dio, se non è condiviso rimane senza colori, senza suoni.

Cosa ti lascia l'esecuzione e la reazione del pubblico al termine di una rappresentazione delle tue opere?

Intanto c'è sempre il famoso momento che uno si chiede se tireranno i pomodori, gli ortaggi oppure quanti sono riusciti a rimanere fino alla fine. Al di là delle battute, quando vedi il tipo di reazione del pubblico alla fine di un'opera, capisci se quel messaggio è arrivato o no, ecco questa è la cosa fondamentale. E quando capisci che il messaggio è arrivato, che ti devo dire, è una bellissima sensazione per chi ha la piena coscienza di essere stato strumento. Sei felice perché sai che sei stato utile a qualche cosa, c'è una soddisfazione personale ovviamente,  ma la cosa che ti impressiona è dire ma allora ci siamo riusciti, lo vivi come un miracolo. Ecco questa è una cosa molto molto bella e che aiuta anche a dire ‘dobbiamo andare avanti’ perché insomma stiamo raccontando delle storie d'amore, delle storie di Dio.

Grazie Marcello per questa intervista, ti auguro di continuare ancora per tanto tempo a raccontare con la tua musica “le storie di Dio”.

Romano Scaramucci