All'inizio di "Parla, ricordo", riedito in questi giorni nella collana economica Gli Adelphi nella traduzione di Guido Ragni, Vladimir Nabokov racconta di un soggetto cronofobico, assalito dal panico nel guardare per la prima volta certi filmini girati in casa dei genitori, qualche settimana prima della sua nascita.
A terrorizzarlo è soprattutto la vista angosciante di una carozzina nuova di zecca, collocata sotto un portico, con l’aria maliziosa e invadente di una bara. "La culla dondola sopra un abisso", nota Nabokov, "e anche se la nostra esistenza è solo un breve spiraglio di luce tra due eternità fatte di tenebra, la fine davanti a noi ci appare più minacciosa del nostro precedente non-esserci ancora". Le capacità analitiche e la sapienza letteraria di "Parla, ricordo" sono tali, che è impossibile ascrivere il libro al genere autobiografico, assurgendo a vero e proprio saggio esistenziale e a rievocazione di un ambiente storico. Un mondo dorato, quello del piccolo Vladimir, nato da una famiglia aristocratica: impara a parlare russo, francese e inglese grazie a un caleidoscopico avvicendarsi di governanti e istitutori, descritti con bozzettistica, gogoliana vivacità, che lo accompagnano fino all’ingresso al prestigioso Istituto Tenisev di Pietroburgo. Lo snodarsi delle vicende familiari va di pari passo con lo sventolio del suo retino sui sentieri delle residenze estive della famiglia, alla ricerca delle farfalle per le quali, un giorno, entrerà nei libri di zoologia come scopritore di una nuova specie.
A far da contrappunto alle vicende private, è l'ombra possente e prevaricatrice della storia russa dei primi del Novecento, fino alla rivoluzione del 1917, che costringerà la sua famiglia a trasferirsi prima in Crimea e poi a dileguarsi in Europa, a Parigi, Berlino e Londra, fino al suo arrivo in America, che diventerà sua patria d'adozione e sede dei suoi trionfi letterari, a cominciare dal romanzo "Lolita" che, uscito nel 1955, destò un grande clamore attraverso le vicende legate a un ossessivo dramma sessuale (dal quale trasse un film Stanley Kubrick, non troppo apprezzato da Nabokov). Ancora una volta, la descrizione di un mondo, il Nuovo, attraverso la crudele rappresentazione della società di massa. Con lo sguardo raffinato di un autore legato indissolubilmente al Vecchio.