“Era appena iniziata l’estate 1979 ed io ero segretario generale della Cisl da un paio di mesi quando un giorno mi telefonò Guido Carli ,allora presidente di Confindustria, dicendomi che doveva parlarmi a quattr’occhi. Gli dissi di vederci a pranzo in un ristorante riservato nei pressi di Piazza Fiume in Roma e mentre eravamo seduti a tavola a parlare di salari e profitti Carli mi disse: ‘senta Carniti noi siamo due persone perbene e pratiche . Legga questo appunto e mi dia una risposta sincera per il bene dell’Italia’. Tirò fuori dalla tasca un foglietto che mi pregò di leggere con attenzione .Non c’era scritto molto. Solo alcuni numeri essenziali che davano il classico, inoppugnabile risultato matematico del due più due che fa quattro. Il foglietto aveva un semplice diagramma su un’ asse del quale c’erano gli anni e sull’altro le quote di reddito per i diversi fattori. Appena ebbi finito di leggere Carli non mi fece discorsi complicati. Mi disse soltanto: ‘Come vede Carniti la quota di reddito destinata al lavoro in tutti questi anni è aumentata di sette punti mentre quella che va ai profitti è scesa di sette punti. Allora il problema è che oggi bisogna trasferire cinque punti da una parte all’altra se non vogliamo cadere nella reazione eversiva’. Oggi , Ivo, quel foglietto andrebbe recuperato, aggiornato e messo in tasca ai sindacalisti che vanno alle trattative con Confindustria e con il Governo per chiedere con forza di trasferire non cinque, ma dieci punti dai profitti ai salari. Ma il guaio è che di sindacalisti in giro oggi non ne vedo e tutto vien lasciato ai partiti che ormai sono vuote scatole di plastica funzionali solo alla telecrazia e agli interessi del neoliberismo che sta facendo anche in Italia più ricchi i ricchi e più poveri i poveri e spreme il ceto medio come un limone, tanto che sta affidandosi sempre più ad una destra berlusconiana ed autoritaria visto che la sinistra ha perso la bussola del sociale e si culla nel sogno luterano e calvinista di un capitalismo riformato”.
Sono passate da poco le nove di sera del 22 maggio 2008 e, assieme a Fiorella, mi trovo nella popolare trattoria Dardano in Cortona dove sto terminando la cena con Pierre Carniti e sua moglie Mirella quando, in attesa del caffè, rispondendo ad alcune mie domande, mentre le mogli parlano di figli e di amministrazione di casa, Pierre chiede un altro bicchiere di buon rosso cortonese ed inizia un lungo racconto di oltre due ore sul sindacato e sui sindacalisti, sulla politica e sui politici, sull’Italia e sugli italiani di allora e del secondo Novecento. E’ un discorso che dura fin oltre le dieci e trenta, quando, rimasti unici avventori da oltre un’ ora, i gentili proprietari ci avvertono che devono chiudere. La conversazione prosegue in Piazza e in Rugapiana, mentre Fiorella ed io riaccompagniamo in albergo Pierre e Mirella.
Pierre era venuto a Cortona su mio invito per parlare l’indomani mattina di Costituzione e Lavoro a trecento studenti diciottenni di Cortona e della Valdichiana, riuniti in una lezione di civitas fuori dall’aula nel nostro famoso e bel Teatro Luca Signorelli.
Carniti venne a Cortona accompagnato da sua moglie Mirella Musoni e naturalmente non volle nessun compenso. Nonostante le mie proposte di pagargli l’albergo avendo avuto la disponibilità a ciò da parte del Distretto Scolastico Valdichiana 32, non ci fu verso di convincerlo e volle pagare di tasca propria, perché, mi disse, che per lui questa venuta a Cortona era una gita con Mirella e non era giusto e corretto che soldi pubblici venissero spesi per pagare la sua camera d’albergo e la cena che egli avrebbe consumato in Cortona quella sera. Anzi volle che io e Fiorella fossimo suoi ospiti per quella cena pregandomi di fissare un tavolo in una trattoria popolare e di buona cucina cortonese. Cenammo quindi alla nostra storica trattoria Dardano di proprietà degli zii di una mia ex alunna degli anni novanta. Fu una lunga cena che si protrasse dalle venti alle ventidue e trenta e che Pierre volle offrire a me e mia moglie come ricordo del suo essere stato nostro testimone di nozze , ma soprattutto fu una cena dove i nostri tipici piatti cortonesi cedettero il passo a tanti ricordi e racconti della sua vita di sindacalista italiano e cislino con aneddoti importanti e di grande valore e importanza per la storia sociale e politica d’Italia.
Tra i tanti passaggi di quel lungo racconto ho voluto qui riassumere quello del suo incontro con Guido Carli allora presidente della Confindustria, in quanto fu da quel pranzo con il leader degli industriali che partì la sua lunga marcia di politica economica nuova per l’Italia che ebbe il suo epilogo nel noto Patto di San Valentino del 1984 e nella conseguente crisi dell’unità sindacale, che sconfisse il comunismo sovietico in Italia mettendo fine per sempre alla questione comunista italiana ed innescando quella crisi interna del Pci, che sarebbe sfociata poi, nei primi anni 1990, nella costituzione del Pds e del partito di Rifondazione comunista.
Ma ritorniamo al discorso della forbice che si allarga tra salari e profitti , lasciando ad altre volte gli altri interessantissimi racconti ed analisi che Pierre mi fece in quella serata del 22 maggio 2008 a Cortona.
“Basterebbe - aggiunse quindi - un foglietto simile a quello con i dati di oggi che mostrerebbero tutta un’altra storia, cioè che certificherebbero che la quota che va ai salari è scesa di dieci punti rispetto ai profitti e alle rendite , per far tornare alla lotta le masse dei lavoratori italiani e trattare quel giusto riequilibrio che la gente invoca e rischia di chiedere invece alla destra neonazionalista, visto che non si vedono sindacalisti e i politici pronti a guidare il cambiamento che oggi si impone e che chiede giustizia sociale”.
“Come ben sai - continuò poi - nel febbraio 1978 riuscii ad imporre al sindacato italiano con la famosa svolta dell’Eur il principio che per l’Italia non erano i piani economici dei soviet il futuro per il nostro Paese, ma la ripartenza di un’economia liberale ben mixata tra stato e mercato che (facendo ancora leva sul principio naturale dell’accumulazione agricola, cioè del mettere da parte e in tutela al momento del raccolto del frumento quella parte indispensabile alla semina dell’anno successivo) ridesse all’Italia quel nuovo miracolo italiano di cui anche i lavoratori avevano diritto a godere, soprattutto con il programma del ‘lavorare meno,lavorare tutti’. Da questo incontro con Carli partì dentro di me quella forte convinzione che mi portò a costruire il Patto di San Valentino del 14 febbraio 1984. Un patto che contribuì a cambiare l’Italia , a farne un Paese moderno e che alla Cisl e a me costò la perdita di un caro amico,un intellettuale ,stimato economista che ne aveva curato la parte scientifica ed accademica ,il prof. Ezio Tarantelli, ucciso dalle Brigate Rosse. Da quelle brigate di delinquenti cioè che non esitarono anche a minacciare di morte me e l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, che davanti alla richiesta del Referendum abrogativo organizzata dal Pci tentennò notevolmente per evitare quella prova elettorale, che si tenne l’anno successivo. Una prova che Craxi accettò solo dopo una mia improvvisa e burrascosa visita a Palazzo Chigi. A Palazzo Chigi andai senza appuntamento e mi ci feci portare dal fido Adolfo quando egli venne a prendermi all’ospedale per portarmi a casa per la convalescenza, prescrittami dai medici dopo l’infarto che mi aveva colpito in quei mesi di primavera 1984 e che tu ben ricordi in quanto mio collaboratore in Via Po. L’incontro a Palazzo Chigi fu breve, ma forte ed incisivo. A Craxi dissi che, se avesse accettato le proposte avanzate dal Pci per evitare il loro referendum sull’abrogazione della scala mobile, io avrei dovuto chiudere la Cisl e buttare la chiave di Via Po nel Tevere , ma lui sarebbe stato costretto a rifugiarsi nella sua casa in Tunisia. Cosa che poi per altri motivi e altra storia gli successe davvero. Craxi non mi rispose e anzi fece finta di sentirsi offeso, e, cosa non usuale per lui, chiuse senza replicare e nel silenzio l’incontro. Ma poco dopo, mentre con Adolfo avevamo già superato San Giovanni in Laterano sulla via di casa, sentii , ad un giornaleradio in macchina, che Palazzo Chigi aveva emesso un comunicato in cui si diceva che le proposte avanzate dal Pci venivano respinte e che anche il Governo era lieto di chiedere al popolo italiano il suo parere elettorale sulla questione. Le cose andarono come andarono e ad altri vennero riservati gli allori del vincitore di quella prova democratica. Una prova non facile ma da me condotta lealmente tanto che ebbi incontri riservati anche con Enrico Berlinguer visto che con la sua ostinatezza fece piangere anche Luciano Lama,che a me e Benvenuto aveva promesso di firmare l’accordo. Allora nel 1984 quando riservatamente discutevo in casa di Tatò con Berlinguer di lavoro, politica economica e di futuro del Paese, il segretario del Pci mi diceva che certe cose non spettavano al sindacato, in quanto questo era solo una cinghia di trasmissione del partito e che certe iniziative politiche non si potevano prendere senza il consenso dell’opposizione, cui la cosiddetta costituzione materiale aveva riservato questo spazio. Io rispondevo sempre che queste sue risposte andavano bene per il segretario della Cigl, ma non per quello della Cisl. Rispondevo che per fare certe cose non avevo bisogno né del consenso di un partito né di quello dell’opposizione , ma che mi bastava il consenso dei lavoratori. Cosa che avevo nei posti di lavoro e che poi si verificò anche con la vittoria elettorale nel referendum dell’ottantacinque. Oggi il sindacato tratta troppo in televisione e poco nelle sedi riservate. I sindacalisti stanno troppo nei salotti delle Tv e dei media, invece di stare sui posti di lavoro o sulla strada e sul marciapiede delle aziende, quando non si può entrarvi per contrattare diritti e salari. Oggi non si può discutere di come proceduralizzare il conflitto sociale , ma si deve discutere tra sindacato e Confindustria di come aumentare i salari. Ma forse questo oggi non è possibile perché il sindacato è debole culturalmente ; è in declino anche se fa molti 730 e servizi di patronato. Il sindacto oggi non si apre più al confronto intellettuale anche di chi la pensa diversamente, non si mette in discussione come si faceva ai miei tempi, quando l’organizzazione sindacale era una casa con porte e finestre aperte e si confrontava con tutti. Certamente, come si diceva prima, il sindacato oggi rischia di burocratizzarsi, ma di un sindacato che declina crescendo in Italia e altrove ci sarà sempre bisogno. Ci sarà bisogno per altri mille anni finché il lavoro sarà subordinazione, fatica e sfruttamento spesso per una paga ingiusta. Ci sarà sempre bisogno del sindacato, cioè della rappresentanza collettiva del lavoro, se non si vuole lasciare il lavoratore solo davanti al padrone, al dirigente che crede al profitto , al modello neoliberista che sta ormai governando tutta Europa. Questa è la sfida dell’oggi e del domani nel nostro paese: non darla vinta al neoliberismo che rischia oltretutto di resuscitare quei nazionalismi tanto deleteri che insanguinarono il primo Novecento. Il neoliberismo è infatti una visione in contrasto con quella nostra visione contrattuale e sindacale,laburista e cristiana, equilibrata dei rapporti sociali che fu la caratteristica della mia Cisl che si batté senza sosta e senza paura contro l’assioma del mercato come solo regolatore dell’economia e dei rapporti sociali. Questioni fondamentali per la vita di una comunità come l’occupazione e il pieno impiego non possono essere lasciate al mercato che da solo non sa e non può risolvere. Se si guarda al mercato come strumento esclusivo di selezione e di promozione delle persone, degli individui, si arriva ad una cinica concezione di darwinismo sociale per cui il mercato potrà fornire protezione e tutela solo ai più forti , ai più privilegiati e ai più fortunati. Per questo, attuare in un Paese una politica guidata solo dal mercato è solo una politica del più forte e non la politica di chi ha più ragioni.”
Fermo qui il riassunto di quel lungo appassionato racconto di quella serata del maggio 2008 che , uscendo poi dalla Trattoria Dardano, proseguì con tanti aneddoti e ricordi di vita cislina per ben quattro rugapianate con la scorta di Mirella e Fiorella, attente, partecipi e accarezzate dalle volute di fumo del suo immancabile sigaro che la leggera brezza notturna dirigeva su di loro e sulla pietra serena degli storici palazzi della via centrale di una Cortona deserta e già addornentata. Rimando questi ricordi di vita interna cislina ad altra occasione, ma qui concludo con un appello ai sindacalisti e ai politici democratici italiani del 2019: fatevi approntare da un qualche serio ufficio studi un foglietto come quello che Carli mostrò a Carniti nel 1979, con uno scientifico diagramma del rapporto tra salari e profitti dal 2008 al 2019 e poi gettatevi in una vertenza senza tregua per spostare dieci punti dai profitti ai salari. Non lasciate che il malcontento dei lavoratori subordinati, degli artigiani e degli atipici autonomi (delle partite iva insomma e della gente cioè che lavora da mane a sera) vada a sostenere, ad ingrossare il consenso di qualcuno dei troppi “venditori di tappeti”, dei tanti "bercioni" che affollano il campo odierno della politica italiana. Sindacalista e politico avvisato , mezzo salvato.
Ivo Camerini