Nei giorni scorsi, durante una passeggiata nei boschi della montagna cortonese alla ricerca di funghi, mi sono imbattuto in due boscaioli arrivati da un lontano paese dell'est europeo per fare il lavoro di ripulitura di un bosco che, ancora trent’anni fa, facevano esclusivamente i nostri giovani montagnini. Erano padre e figlio che per circa cento euro al giorno con le loro motoseghe facevano il cosiddetto governo del bosco.
Li ho incontrati, verso le tredici, mentre seduti a terra consumavano un pasto francescano al sacco e, augurando loro buon appetito, mi sono fermato a scambiare quattro chiacchiere con questo padre quarantacinquenne e con suo figlio ventenne.
Parlavano molto bene l’italiano, perché ,mi ha raccontato il padre, sono vent’anni che lui fa questo lavoro in Italia, ma mentre prima della pandemia con questa stessa paga giornaliera viveva bene, oggi non arriva più alla fine del mese. E allora ha fatto venire anche suo figlio per questo lavoro stagionale che, oltre a salute, chiede quella capacità fisica e professionale, che in Italia non si trova più.
Ho ammirato la loro gentile fierezza di essere degli artigiani boscaioli e mi sono rivisto piccolo negli anni dei decenni 1950 -1970, quando questi lavori li facevano il mio babbo con gli altri ultimi montagnini ed io li supportavo come “mezzo braccio”.
Ho avuto con loro, mentre, mezzo bagnati, consumavano il loro pranzo, una bella chiacchierata de universo mundo e ben volentieri ho raccolto la loro denuncia su questo globalismo neocapitalista e di rito nordamericano che ha sradicato le nazioni e la vita comunitaria locale, riportando indietro l’umanità, oggi nuovamente afflitta dalla violenza, dalla guerra e dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Ma soprattutto mi ha fatto molto piacere che anche loro (venuti da lontano a guadagnarsi il pane con un mestiere che oggi da noi nessun nostro giovane vuole più fare ) lamentassero come anche nella nostra comunità cortonese stiano scomparendo artigiani, boscaioli, pastori ed agricoltori di sussistenza familiare. E che questa mancanza ormai cronica forse sia da addebitare all’abbandono della vita di una volta, che aveva radici forti e sane nel “piccolo è bello, nel sacrificio, nella formazione al lavoro con scuole come la defunta Inapli di Camucia”.
Come mi ha sottolineato il giovane figlio di questo serio e forte boscaiolo straniero, che però da un decennio è diventato italiano, “ un paese che vive di bonus e di aiuti sociali, dati a chi ha la salute e la forza di lavorare, non ha futuro, perché alla lunga le brioches finiscono e, in una società dell’ognun per sé, se uno non sa fare il pane avrà il solo destino di morire di fame ed una comunità senza artigiani inganna se stessa e non avrà un buon futuro”.
Grazie, cari amici boscaioli, per questa vostra cortese chiacchierata con un modesto giornalista di strada e semplice montagnino cortonese.
Ivo Camerini