Per la festività di Ognissanti e per la commemorazione annuale dei defunti in questo primaverile inizio di novembre 2024, anche la montagna cristiana cortonese (ormai ridotta a poche unità di residenti nelle antiche e fiorenti comunità parrocchiali che si svilupparono dal milleduecento fino al millenovecentocinquanta) ha ricordato i propri fedeli defunti con sante messe comunitarie e visite personali ai vari piccoli cimiteri.
Il parroco don Giovanni Ferrari ha tenuto celebrazioni eucaristiche e preghiere di suffragio in tutti i cimiteri delle varie ex-parrocchie che dalla primavera scorsa sono state riunite in unica unità pastorale cristiana.
Don Giovanni Ferrari, parroco anche delle chiese del centro storico di Cortona e vicario zonale cortonese, alla domenica e nelle varie feste religiose celebra infatti una santa messa a rotazione nelle varie storiche chiese, che negli ultimi cinquant’anni sono sempre più esposte alla corrosione delle intemperie e all’incuria delle manutenzioni ordinarie e straordinarie.
In questi tempi di neopaganesimo e di stagione fuori dai cardini cristiani anche le famiglie della montagna cortonese soffrono e subiscono la solitudine della testimonianza di Cristo, ma (come ha ricordato don Giovanni Ferrari nella sua interessante omelia nella Chiesa di San Biagio a Casale domenica tre novembre e cui si riferiscono le immagini della foto collage di corredo) coloro che credono in Dio non possono farsi prendere dall’angoscia della solitudine, perché la buona parola del vangelo ci esorta in ogni momento a ricordare che la vera realtà del cristiano e dell’essere umano è quella relazionale con il nostro prossimo. Quel nostro prossimo che, come ci ha insegnato il grande biblista gesuita padre Xavier Leon-Dufour, è Dio stesso. Quel Dio cristiano che, come scrive in un suo bel libro il vescovo norvegese di Trondheim, Erik Varden, è venuto sulla terra per frantumare, sconfiggere la solitudine con la sua presenza, che si dipana lungo la storia umana e nelle nostre vite.
Come ha sottolineato don Giovanni Ferrari, “ricordare” significa “ richiamare nel cuore”, cioè “ andare indietro con il cuore” e commemorare i nostri defunti significa fare memoria fondamentale anche per le piccole comunità cristiane, perché la sua azione sorregge, puntella i nostri cambiamenti, concorre a creare la nostra identità. La memoria dei defunti fissa in noi l’idea delle radici, della tradizione civile e religiosa del tempo cristiano dei secoli passati e genera in noi fede, cultura conoscenza e riflessione sui tempi nuovi che avanzano anche negli angoli più belli del mondo, come sono anche le nostre montagne cortonesi.
La Chiesa è stata sempre attenta e fedele al ricordo dei fedeli defunti e, da molti secoli, ne ha istituito la festa religiosa subito dopo quella di tutti i santi. Come scrive Famiglia Cristiana in questo due novembre 2024, “ la commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi che erano già in cielo.
È solo con l’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny che la data del 2 novembre fu dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già Sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio (….) La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto prega per i morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte”.
Ivo Camerini