Io e Marzia abbiamo sostenuto insieme l’esame di maturità al glorioso liceo Classico “Luca Signorelli”, lei Terza A, io terza B (allora si chiamava così l’ultimo anno). Gite, veglioni, versioni, capelli lunghi e cose così. Quasi un anno fa mi scrive che aveva ritrovato un pezzo di archeologia liceale che mi apparteneva. Aggiunge: i ricordi sono importanti…
Come sono i ricordi cortonesi visti dalla Cina?
Non avrei mai pensato di sentire la mancanza della mai terra, Cortona, così tanto. Ho lasciato Cortona a 19 anni, dopo il Liceo, per proseguire i miei studi altrove: Roma, Pechino, Milano, Shanghai. Ero contenta di lasciare il mio paese. Sentivo che mi andava stretto. Ma poi, con il lavoro, la lontananza temporale è aumentata: adesso vivo a Shanghai dal 2009 e non è sempre stato possibile tornare ogni anno… E la nostalgia di casa, della terra in cui sono nata e cresciuta, si è fatta sempre sentire di più. Mi manca quel piccolo paese che mi andava stretto da adolescente e leggo sempre con molta gioia ogni notizia che lo riguarda. Nonostante abbia scelto di vivere in un altro luogo, sono sempre orgogliosa delle mie origini cortonesi e non manca mai occasione per ricordarlo a chi me lo chieda.
Hai studiato lingue orientali a Roma e da allora quali strade hai percorso? Perché da Cortona hai scelto la Cina?
Credo che ti ricordi anche tu che durante il periodo del Liceo ero più interessata alle lezioni di inglese che a tutto il resto. Per me è sempre stato interessante conoscere ciò che stava fuori dalle nostre mura, avere la possibilità di imparare lingue diverse per poter parlare con chi veniva da altri paesi. Ho sempre e solo voluto fare questo, confrontarmi con “lo straniero” e avere la possibilità di capire le altre culture e, perché no, farne parte. La Cina è stato un assist di quel grande uomo che è mio padre: ero intenzionata ad inscrivermi a Lingue e Letterature Straniere, ma lui mi suggerì di scegliere una lingua che mi avrebbe dato un futuro, il Cinese. Era il 1997, solo 8 anni dopo il massacro di Tian An Men, nessuno al tempo pensava che la Cina avrebbe avuto uno sviluppo economico come quello attuale. Eccetto lui. Gli sarò grata per tutta la vita per quel suo suggerimento.
Hai costruito una famiglia e una comunità italiana, una sorta di Italytown. Ti senti una pioniera?
Mi sento una pioniera nell’aver costruito una professione soprattutto grazie alla mia conoscenza della lingua e cultura cinese. Mi sono laureata nel 2003, un anno dopo rispetto alla media dei miei coetanei perché ho preferito trascorrere un intero anno di studi a Pechino prima di laurearmi, soprattutto per poter apprendere a pieno la lingua, parlarla fluentemente. Ma anche per vivere in quello che sarebbe potuto diventare casa mia un giorno, chissà… È stata una delle scelte migliori che potessi fare al tempo: ho vissuto nel campus dell’università per stranieri, e frequentavo allo stesso tempo la comunità dei giovani artisti locali, musicisti, scrittori, giovani insegnanti: ho appreso quel mondo in tutta la sua totalità, e ne ho fatto parte nonostante non fossi cinese. Il lavoro è arrivato quasi subito, soprattutto perché in grado di parlar fluentemente cinese. La comunità che abbiamo costituto qua è fatta soprattutto di stranieri, non solo di italiani: i nostri amici con cui condividiamo le gioie e le tristezze di vivere all’estero sono diventati la nostra Shanghai Family (ci piace chiamarla così), i nostri figli imparano usi e costumi di altri paesi, vivendo in un contesto così multiculturale. Certo, la loro infanzia è un po’ lontana da quella che è stata per me, cresciuta tra prati e colline, con nonni zii cugini intorno a me, ma sono sicura che quando saranno grandi il saper di essere “figli del mondo” piuttosto che solo di una piccola comunità, li aiuterà molto. O almeno mi piace pensarla così.
Hai vissute due pandemie, quella cinese e quella italiana, quali differenze hai riscontrato?
Credo che le situazioni vissute difatti nel 2020 siano state un po’ assurde per me e la mia famiglia: ero a Shanghai il giorno in cui Wuhan (a oltre 800 km da Shanghai) venne chiusa e che fu ufficialmente dichiarato lo stato di pericolo del virus. Avevamo un aereo prenotato da mesi per Milano il giorno dopo (siamo sempre rientrati in Italia per le festività del capodanno cinese). Quel giorno dovetti uscire lo stesso di casa perché avevo mille cose da fare prima di partire: mascherina alla mano, mi incamminai fuori; mi colpì subito il fatto che la città era già completamente vuota, e che le pochissime persone che erano in giro indossavano la mascherina e guanti; ero molto spaventata, finii tutte le mie commissioni velocemente ripetendo a me stessa che se ci fosse stato un paese in grado di sconfiggere questo maledetto virus, quello poteva essere solo la Cina (come difatti è stato). Siamo arrivati in Italia il 25 gennaio: nessuno sembrava dar troppo peso a quello che succedeva in Cina, anzi, sembrava che il virus fosse una cosa legata solo alla Cina. Saremmo dovuti rientrare l’8 febbraio a Shanghai, ma il nostro volo è stato cancellato (come quasi tutti in quel periodo) e siamo rimasti bloccati a Milano fino al primo Marzo (il 31 Marzo la Cina ha chiuso i confini agli stranieri… E sono ancora chiusi tra l’altro). Ne abbiamo approfittato per goderci un po’ di più le nostre famiglie e amici in Italia: il 23 Febbraio stavamo tornando a Milano dopo una giornata nelle montagne a sciare e sentimmo alla radio il caso di Codogno. Quello che colpì sia me che mio marito è che nessuno sembrava dare tanto peso alla cosa: la vita continuava come prima, a Milano si incentivava la gente ad andare nei Navigli a fare aperitivi e uscivano interviste di politici italiani che invitavano gli stranieri a venire in Italia per le vacanze. Ero sconvolta: ma com’è possibile che in Cina sia bastato solo l’annuncio della gravità del virus affinché la gente si auto-chiudesse in casa e portasse la mascherina qualora dovesse uscire, mentre in Italia la gente continuava a fare serate in giro per la città? Stiamo parlando dello stesso virus cavolo! La gente muore ovunque, non solo in Cina. È una cosa che ho capito nel tempo: in Cina la gente è oramai abituata a seguire le regole senza che ci siano più imposizioni, in Italia, come in Europa, funziona in un altro modo…
Tradizione e modernità, un paese che è un mondo a sé… Dalla Cina antichissima arriva il futuro?
Dipende davvero dagli aspetti che si guardano: la mia prima volta in Cina risale al 1998 e ti giuro che quella Cina lì orami non esiste più; la gente adesso è proiettata solo verso il futuro e a come aumentare le possibilità di incrementare la loro stabilità economica. Molti siti storici sono stati distrutti per lasciar spazio alla modernità. Di Cina antica c’è rimasto ben poco purtroppo. L’avvento di Mao è stato devastante per certi aspetti perché è andato contro tutto quello che l’impero aveva rappresentato fino a quel momento: la stessa città imperiale è diventata il mausoleo di Mao dopo la sua morte. Tutto quello che è venuto dopo di lui non guardava già più alle tradizioni della Cina antica, ma piuttosto ai princìpi di Mao e della sua politica. Questo non è cambiato. Come non è cambiato l’estremo rispetto da parte del cittadino nei confronti del governo e delle regole che emette, sempre più propense allo sviluppo dell’economia nazionale e quindi al benessere del popolo. Le nuove generazioni cinesi, credo, non sappiano nemmeno chi sia stato Li Bai o Lao Tze, ma sanno come sviluppare tutte le opportunità che questo paese sta dando per continuare la crescita economica nazionale. È un po’ triste se ci penso, ma credo anche che questo sia stato a volte inevitabile per portare lo sviluppo del paese a quello che è adesso: dove è arrivata la Cina soprattutto nell’ultimo ventennio è sotto gli occhi di tutti.
Per i “figli del mondo” i ricordi sono importanti quanto il futuro che sapranno costruire.
Albano Ricci