Così all' improvviso, come il clima meteorologico è passato dalla vampa estiva alle brezze fredde novembrine, saltando il famoso tiepido e dolce sole ottobrino, anche lo spirito civile e spirituale della popolazione cortonese ed italiana sembra improvvisamente cambiato. Sotto l'incalzare di una comunicazione cruda e psicologicamente intimidatoria da parte dei canali televisivi ufficiali, in tanti, anche nelle terre cortonesi , che per nostra fortuna sono sotto il manto protettivo di Santa Margherita, hanno iniziato a mostrare paura palese della seconda ondata della pandemia e ad interrogarsi su come "svernare".
Proprio l'altro ieri uno stimato amico medico, mi sottolineava, in un incontro casuale per strada, che tutta questa propaganda che sta nuovamente martellando il cittadino probabilmente potrebbe creare un clima da inverno cupo e difficile, in quanto la paura contro gli ammalati e la loro ghettizzazione possono generare mostri e reazioni sociali terribili.
In molti per strada ormai non parlano o salutano più il prossimo. Ognuno pensa solo a se stesso e l'altro è visto come un nemico, come un untore che va emarginato. Con queste mentalità non si va lontano e sarà davvero dura svernare. Chi ha compiti di governo è chiamato con urgenza a rasserenare la piccola e la grande comunità e a diffondere buon senso a fronte di norme e ordinanze da stato primo etico o “grande fratello” di orwelliana memoria, che si tiene in piedi con la forza delle multe e dei divieti. Insomma con lo stato di polizia. Il caso Svezia, paese senza lockdown, dovrebbe pur insegnarci qualche cosa. Serve una sanità pubblica a ranghi completi, logisticamente a pieno regime ed equipaggiata con tutte le cure più adatte a bloccare sul nascere la malattia, come hanno agito ospedali privati in favore di potenti della politica, pezzi grossi dell’economia o ricconi borghesi. A che serve far tamponi in massa se poi i risultati di un tampone ai non ricchi (o ai non inclusi nella società del benessere) vengono comunicati anche dopo dieci giorni o più, permettendo che il virus viaggi a suo comodo e discrezione? La propaganda dice che la gente è irresponsabile e incosciente davanti all’ignoto Covid. Noi abbiamo sempre saputo che il pesce puzza dalla testa. Sta a vedere che in tempo di Covid il pesce ha preso a puzzare dalla coda ?
Multe e divieti saranno stati istituiti senz'altro a fin di bene, ma ormai sempre più palesemente vengono utilizzati per una schedatura di massa che, per mezzo del Covid, costruisce quelle indispensabili banche dati utili all'ormai imminente governo degli algoritmi della tecnologia del 5g cinese che, come ormai noto, tutto controlla e vede e riporta alle segrete stanze del moderno principe. Partito o governo che sia, poco importa.
Il virus non si combatte con la caccia burocratica al "piccolo è bello", col tagliare l'erba sotto i piedi a chi ha voglia di fare ed intraprendere anche la piccola economia di sussistenza. Non si combatte con la tutela del vagabondaggio sociale dell' "argeant de poche" per la festa continua ( cfr. reddito di cittadinanza per coloro che non hanno voglia di lavorare, ma mettono la festa al primo posto della vita).
Il virus si combatte non con i modelli consumistici del neoliberismo, ma con il ritorno ai modelli del fare economico e all' austerità sociale degli anni 1950, voluti e realizzati dai governi democristiani di allora. Hic Rhodus, hic saltus.
Da parte della gente comune e semplice, come siamo ormai la maggioranza di noi italiani, oggi serve una risposta democratica forte e appassionata che parta dal volerci bene e dal ritrovare la solidarietà nazionale di patria e di popolo. Serve non abbassare la nostra guardia di cittadini controllori del fare e dell'agire dei governi locali e nazionali onde salvaguardare lo spirito vitale della trasmissione dei valori dell'amore alla democrazia, alla libertà, alla solidarietà e alla pace regalatici nel Novecento dai nostri genitori e nonni.
Se saremo capaci di tenere alta la bandiera della speranza di un mondo migliore, più a misura d'uomo e dove si sappia osare sempre più condivisione e fraternità potremo nuovamente svernare bene. Naturalmente facendo di tutto per essere ancora una volta, come lo fummo nei mesi della scorsa primavera, cittadini responsabili davanti ad un male sconosciuto che non chiede il permesso per colpire la nostra salute. Il che significa, come dicevano i contadini cristiani di una volta: " non ridere e non avere paura della mia bua; oggi è la mia, domani è la tua".
Sapienza semplice e antica che non ha bisogno di tanti commenti e spiegazioni, ma che porta con sé il grande insegnamento di utilizzare sempre nelle piccole e nelle grandi cose il buonsenso, la giusta misura per guardare avanti e migliorare il mondo che nascendo abbiamo trovato.
In questa direzione gli inverni sono tanti e, per traguardare questo del Covid-19, guai a non essere uomini della speranza. Io, nonostante tutto e tutti, sono fiero di essere stato educato alla speranza e rimango nel mio piccolo quotidiano, con tutti i limiti che ho , un uomo della speranza cristiana, un seguace della dottrina sociale della Chiesa per vivere il presente e progettare il domani.
Avere speranza e responsabilità è decisivo per costruire presente e futuro. Infatti come scriveva, nel 2017, Pierre Carniti : “L'uomo come essere in cammino può andare avanti solo se si libera del senso di colpa e di impotenza paralizzante e fa propria la speranza del cambiamento. In questa prospettiva la responsabilità acquisisce pertanto una valenza nuova. La speranza, che è apertura al futuro, ne dilata infatti l'ambito di esercizio. Costringendo a non pensare soltanto alle conseguenze presenti o passate dalle nostre azioni , ma anche a quelle future. Essa restituisce in questo modo senso alla vita e all'azione collettiva. Fornendole la capacità di guardare vanti. Cosa di cui abbiamo assoluto bisogno. Quindi, coniugando responsabilità e speranza si riescono ad aprire nuove prospettive alla condotta umana e sociale. Facendola uscire dal rischio della passività e della rassegnazione, per spingere tutti e ciascuno a dare un significato alla propria vita. Soprattutto facendosi carico dell'altro e reagendo quindi anche di fronte a situazioni che ci appaiano gravemente compromesse e che alimentano la tentazione di rinunciare a lottare”.( Pierre Carniti, Prefazione al libro di Ennio Camilli, “Io Bigamo”, Terni, 2017)
Ivo Camerini