L’Etruria

Redazione

L’ignota storia di Annibale e Ulisse nella montagna cortonese

Nel romanzo breve di Ivo Camerini pubblicato recentemente in edizione provvisoria

L’ignota storia di Annibale e Ulisse nella montagna cortonese

In questi giorni ho letto con piacere il libro di Ivo Ulisse Camerini “ I giorni e le notti di Annibale Barca tra Vallecalda e Cerventosa. L’ignoto racconto della battaglia del Trasimeno del 217 a.c.". Un romanzo breve recentemente pubblicato (dicembre 2024) in edizione provvisoria. Di seguito alcuni miei pensieri a caldo.

È singolare ritrovare, in un metaverso che avvicina due mondi distanti di millenni, un condottiero di fronte al quale tremarono i più grandi consoli e centurioni di Roma, Annibale, e un personaggio della montagna cortonese, di nome Ulisse, a colloquio qualche giorno prima della tragica battaglia del Trasimeno.

Ulisse, del resto è, a Cortona, un nome senza tempo, ricordando i lessicografi bizantini (e non solo) il suo arrivo a Cortona, la sua morte e sepoltura in un grande tumulo.

Lo scenario del dialogo è quella montagna cortonese, intorno a Casale, che probabilmente le guide di Annibale esplorarono, fino a trovare un punto ideale per nascondersi tra i boschi sopra Tuoro, nell'imminenza dell'agguato.

È lì che il condottiero, in una sorta di colloquio "impossibile" apprende usi e costumi di quei luoghi, la lingua e anche il calore umano della cucina di famiglia, che significa in primo luogo accoglienza.

E, sopratutto, ripercorre la vita del suo ospite, connotata da sacrifici continui nell'aiutare la famiglia, dallo studio severo svolto a Roma in continua condivisione con il lavoro, fino ai riconoscimenti professionali e alle lotte politiche e sindacali, per un mondo più giusto.

È su quella città eterna che, ad un certo punto, si concentra la narrazione e l'intersezione dei due mondi. Roma è per il primo la città della formazione, delle pulsioni politiche, delle speranze ma anche delle disillusioni, delle collusioni con il potere nella quale tanti martiri trovano addirittura la morte per aver creduto in un mondo migliore.

Per il secondo è, invece, il nemico da distruggere. Ulisse giunge quasi a sperare che Annibale possa mettere a ferro e fuoco quell'Urbe che non sarà mai, nei millenni, giusta. E invece Annibale trionferà, pochi giorni dopo il loro incontro, il 21 giugno del 217 a.C. tra le nebbie del Trasimeno. Ma non riuscirà nemmeno lui a cancellare Roma e il suo potere.

Paradossalmente Ulisse si sente più vicino al nemico punico che ai Romani. Il motivo è semplice: il figlio di Amilcare Barca crede ancora in un ideale, quello di ritenere che nessun popolo possa soggiogare per profitto gli altri. Per dimostrare la sua coerenza è stato addirittura disposto a entrare nella tana del lupo, senza nessun appoggio dal Senato di Cartagine.

Roma è invece vorace di tesori, scrive in punta di diritto i suoi privilegi e è pronta a calpestare qualsiasi ideale pur di rimanere al potere: lo fece per diventare signora del Mediterraneo, lo farà anche, tramite alcuni apparati di partito, quando guarderà impassibile il sacrifico di uno dei suoi migliori figli in quel tragico mese di maggio del 1978.

Se un uomo solo, d'altronde, non riesce a difendere i veri valori di giustizia e di solidarietà per i più deboli, l'esempio di tanti che si son fatti da soli e che tendono la mano crea un filo ininterrotto nel tempo e nello spazio. Basta seguirlo, avanti o indietro, per uscire dal labirinto dell'egoismo e della solitudine. Ulisse, alla fine, passa al partito di Annibale. Ne è la prova l'accoglienza che la Montagna e la sua gente dà al nemico. Non si tratta però di un legame di guerra.  Rappresenta la premessa per intendersi tra gli uomini e non avere più reciproca paura, perché riconosciamo noi stessi negli occhi impauriti dell'altro.

In ogni tempo ciascuno inizia la sua marcia. Si può vincere o perdere e si può anche cadere: basta farlo per un nobile ideale.

Paolo Giulierini