A Pietraia di Cortona si è concluso sabato con una bella cena il concorso “Il vin santo come una volta”, organizzato dalla Proloco e giunto alla quarta edizione.
I vincitori sono stati: Luca Luconi, primo classificato; Simone Biribicchi secondo e Eros Solfanelli terzo, i quali si sono aggiudicati i premi, che consistevano in un caratello da 40 litri per il primo classificato, offerto dalla Consulente Enologica; un Magnum Di Ego Syrah DOC Cortona, offerto dall’Azienda Agricola di Roberta Pasini per il secondo e dal Papacello Vermout Rosso, offerto dalla Società Agricola Eredi Trevisan per il terzo posto.
Inoltre, anche il 1° Premio dedicato ad Alfonso Baldetti per il miglior vin santo tradizionale di Pietraia, è stato assegnato a Luca Luconi.
A tutti i partecipanti, più di 50, è andato il plauso della Giuria, che si è complimentata per l’ottimo livello della produzione, fra cui spiccano i primi tre classificati, ed in particolare il vin santo prodotto da Luca Luconi, che ha raggiunto una votazione veramente ragguardevole.
Nello stesso pomeriggio è stato organizzato un convegno sui vini passiti della Toscana e dell’Italia, che ha visto la partecipazione di relatori competenti e appassionati del loro lavoro, i quali hanno proposto una serie di temi di alto livello, cercando di rendendoli comprensibili agli ascoltatori, numerosi e desiderosi di capire cosa distingue un vino di qualità da uno di produzione industriale.
L’incontro è stato introdotto da Sara Valeri, membro della Proloco di Pietraia e responsabile del concorso, che ha ringraziato le istituzioni coinvolte nell’iniziativa: la Regione Toscana, il Comune di Cortona,il Consorzio Vini di Cortona e l’AIS, associazione sommelier. Il concorso ha il suo fulcro nelle tradizioni del territorio, che devono essere continuate dai giovani e devono avere maggiore visibilità: la viticoltura comporta impegno e competenze che si tramandano fra le generazioni, e la gestione devono andare di pari passo con le innovazioni tecnologiche che il mercato propone e l’equilibrio non è sempre facile.
Ha quindi ricordato Alfonso Baldetti, a cui è stato dedicato un premio particolare, che verrà mantenuto anche nelle prossime edizioni del concorso, di cui il convegno è cornice.
Il sindaco Luciano Meoni ha preso la parola per i saluti istituzionali: ha parlato dell’unicità dei prodotti locali come di una ricchezza da riscoprire e salvaguardare.
Marco Casucci, Vicepresidente del Consiglio Regionale della Toscana, ha confermato il patrocinio all’iniziativa da parte della Regione Toscana e ha espresso la necessità di far conoscere i prodotti tipici oltre i confini regionali affinché assumano l’importanza che meritano, e questo si può perseguire sostenendo il lavoro di promozione svolto dalle associazioni locali. Ha ricordato l’importanza dell’Istituto Vegni e ha ricordato Vannuccio Vannuccini, colui che ha creato la cantina sociale nel territorio.
Il prof.Marco Mearini, docente dell’Istituto Vegni, ha preso la parola per spiegare che il vin santo viene fatto solo con uve passite, in modo naturale, mentre ai vini liquorosi viene aggiunta a varie dosi la mistella, un composto di mosto d’uva e alcol per aumentarne il titolo alcolometrico.
Il vin santo è prodotto solo con uve passite sulla pianta o su graticci in appositi locali in cui la temperatura viene stabilizzata per ottenere la massima qualità; da 100 chili di uva si ottengono solo dai 25 ai 30 chili di uva passita, che contiene nella buccia una selezione di lieviti che dà al vin santo le sue peculiari caratteristiche, che cambiano con l’ambiente in cui il vino viene prodotto, e variano a seconda dell’annata, della tecnica e del terroir, cioè dell’interazione fra quei fattori che interagendo, permettono la produzione di un vino riconoscibile e dalle qualità uniche: le condizioni del terreno, il clima, il vitigno,la coltivazione, solo per citarne alcune.
Il primo riconoscimento DOCG ad un vino passito, è andato all’albana di Romagna nel 1987, quando il primo vino riconosciuto con la denominazione DOCG è stato il brunello di Montalcino sette anni prima: questo dimostra l’interesse verso la produzione locale.
In Italia 17 regioni producono vini passiti, anche se nelle restanti tre ci sono piccole produzioni casalinghe; ogni regione ha il suo vino e ogni vino ha la sua muffa nobile che lo rende unico, come il recioto in Veneto o il piccolit in Friuli.
Dopo aver trascorso alcuni mesi sui graticci, i grappoli vengono spremuti, quindi il vino viene lasciato invecchiare in caratelli di legno di castagno, mentre al nord di solito si usa il rovere. Dentro il caratello si forma la “madre” del vino, composta da lieviti, batteri, proteine, cioè la parte che caratterizza il singolo tipo di vino e che viene analizzata, quindi conservata per le produzioni successive: si capisce dunque l’importanza di laboratori in grado di confrontarsi continuamente con i produttori, laboratori che ci sono e lavorano in piena sintonia.
E’ stato un vero piacere ascoltare il prof.Mearini, che avrebbe potuto parlare per ore delle fasi di lavorazione del vin santo, un vino della tradizione che segue il ritmo delle stagioni nella sua lenta maturazione, che nei caratelli riposa per almeno cinque anni prima di arrivare a maturazione, ma può tranquillamente superare gli otto.
Ha continuato Roberta Pasini, che produce vino da 20 anni a Pietraia, ma che è originaria del Trentino, dove, a nord del lago di Garda, si produce del vino santo, chiamato così perché l’uva viene spremuta durante la settimana santa, dopo essere rimasta ad essiccare in quel microclima dolce che favorisce la coltivazione di kiwi, mele, susine, palme e agrumi.
Le più antiche testimonianze del vino santo risalgono al 1648, come vino per le corti reali di Austria, Germania e Russia. Con la Prima guerra mondiale, la produzione si interruppe e riprese solo negli anni ‘50 per merito di alcuni piccoli viticoltori che hanno ripreso la tradizione e hanno fatto conoscere il vino santo.
La caratteristica di quella piccola zona è l’”ora del Garda”, il vento che, spirando da sud a nord nelle ore pomeridiane, fa appassire adeguatamente i grappoli sui graticci. Anche qui la perdita di peso è notevole, intorno al 40%. La composizione dell’uva è data dalla nosiola, un vitigno che compone il vino santo come minimo all’85%.
L’affinamento richiesto in caratelli di rovere arriva a dieci anni, ma ne risulta un prodotto riconosciuto come presidio Slow Food, e trova posto in musei dedicati alla viticoltura e alle tecniche di vinificazione.
Ha quindi preso la parola Gianluca Baldetti, che ricorda le parole del padre Alfonso: il vin santo va fatto perché è una tradizione di famiglia che deve essere mantenuta, anche se i costi sono elevati: l’uva è raccolta a mano, posta in cassette e fatta appassire per tre mesi, quindi spremuta e lasciata affinare per cinque anni. La produzione vinicola ha da sempre caratterizzato la sua famiglia ed è il filo che lega le generazioni; ora le vigne hanno 60 anni, la cantina produce vino dagli anni ‘70, quindi le proposte che possono avanzare sono concrete e basate su anni d’esperienza. Chi si avvicina al vin santo deve capire il lavoro di anni che c’è dietro e anche i ristoratori devono spiegare la differenza fra un vino industriale e uno di cantina, perché il gusto va educato e la parola-chiave è “qualità”, è questo che fa la differenza. La produzione di vin santo è piccola, ma dà grandi soddisfazioni, come questo convegno e questo concorso.
Gianfrancesco Baldetti interviene affermando di avere sempre lavorato in sintonia con il fratello Alfonso, e qui non riesce a nascondere l’emozione. E’ il rappresentante di un laboratorio di altissima specializzazione nel campo agroalimentare che ha sede in Toscana ma analizza prodotti da tutta Italia e quello del vino, in particolare il vin santo, è un comparto di grande valore. Ricorda Luigi Veronelli, che negli anni ‘70 ha scritto un articolo su un diffuso settimanale elogiando il vin santo, assaggiato proprio nell’azienda Baldetti. E’ stato solo l’inizio di una storia che è continuata all’insegna della qualità e del rispetto dell’ambiente.
Per curiosità:le origini del vin santo vengono riscontrate in Grecia, quindi lo ritroviamo nei documenti del 1347 come antidoto contro la peste: un frate offrì del vin santo agli appestati e alcuni di essi guarirono, ma la storia continua nei secoli.
Oggi il comparto del vino è uno dei più importanti nell’agroalimentare, soprattutto per l’esportazione; nello specifico il vin santo conta 305 produttori e tremila ettolitri di produzione: questo è dovuto agli alti costi, che comprendono la filiera, ma anche le bottiglie di vetro scuro e il tappo composto da sughero di ottima qualità, per evitare contaminazioni, e questa filosofia è condivisa da tutti i produttori toscani.
Per concludere, un ringraziamento agli sponsor dell’interessante manifestazione organizzata dalla Proloco di Pietraia: la Consulente Enologica, Pasini Roberta Winery, MB Elettronica, Azienda Trevisan, Preludio Group, Cartolibreria Vari e Cantine Baldetti.
Nella foto-collage alcuni momenti della serata di Pietraia.
Mara Jogna Prat