L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni - 14

Senza memoria non c'è speranza.

Diario cortonese di questi giorni - 14

Pubblichiamo anche oggi molto volentieri le riflessioni del diario di Anna Cherubini. Riflessioni che partono da un bel principio : senza memoria non c’è speranza. Grazie Anna! (IC)

 

Diario della SPERANZA

Questa è una parola che usano gli anziani. Che noi non siamo più abituati a usare. Forse la usano anche i medici, quei medici che stanno davanti ai fatti gravi della vita, e che devono prendere decisioni importanti. Forse la usano coloro che hanno dimestichezza con quel punto di confine tra il presente e l'infinito. I vecchi, i medici, i molto religiosi.
Questa panchina normalmente è occupata da persone anziane. Quando ci passo davanti mi vengono sempre in mente i miei nonni e insieme a loro la parola Speranza. Speranza e Provvidenza, parole molto, molto vecchie e cadute in disuso.
Guarda come ti viene da ridere se qualcuno ti dice "Vedrai che ci penserà la Provvidenza!" Perché sei (una maleducata!) abituata a tante parole che in confronto a quelle, (Speranza, Provvidenza), sono come l'aspartame in confronto al miele.
Mia nonna, che aveva visto tutte e due le guerre, usava spesso certe parole e altre simili. Erano parole di grande impeto, protagoniste principali di un vocabolario molto più esiguo di quello che ho io, che abbiamo noi adesso. E quelle poche parole dei nostri vecchi, quante cose dicevano, che voci belle che avevano quando venivano pronunciate. Quelle voci un po' roche, graffiate a volte dagli acciacchi, consumate dal tempo. Potrei parlare dei miei nonni all'infinito e tirare fuori dei racconti per me bellissimi. Tutti noi potremmo. Io come ogni giorno di questo periodo folle, penso che dovremmo provarci. Lo suggerisco anche a chi non ha scritto mai niente. Perché scrivere agita i fantasmi che abbiamo dentro, che il più delle volte sono più allegri e gioiosi di quello che pensiamo, e ci danno un po' di quella sollecitazione alla vita che in questi giorni rischia altrimenti di spegnersi. Ci metterebbe anche un po' in ordine i cassetti dell'anima, pieni di cose diventate superflue. Sarebbe bello se potessimo raccontare cose dei vecchi di casa, dei nonni che ricordiamo, (per chi ha la fortuna di averli avuti e di ricordarli), o che ci sono state raccontate di loro, o che immaginiamo che loro potrebbero aver vissuto anche se non è vero.
Una sera, mesi fa, parlavo con un amico di tutte le storie che mi piacerebbe scrivere, e quelle di cui lui si entusiasmava di più avevano qualcosa di molto legato alle storie vissute, o raccontate, o scoperte in seguito, riguardanti i miei nonni o certa gente vissuta con loro. L'altra sera ho raccontato a mia figlia una storia meravigliosa riguardante mio nonno Umberto, che non ho mai conosciuto, e mia nonna Beppa, che morì quando avevo dieci anni. Una storia vera legata a fatti di Resistenza, fascismo, ma soprattutto di impetuosa, immancabile, potentissima forza di certe donne di quei giorni. Donne che si muovevano attorno a casa di questa mia nonna Beppa e di suo marito Umberto, e che zitte, zitte salvavano le vite. Prima o poi la scrivo, promesso.
Tutto questo perché mi piace pensare una cosa che per noi gente di oggi sarà retorica, ma che farebbe piacere ai nostri vecchi. E cioè che la memoria, in un momento come quello attuale, è oro. O almeno, io la vedo così. La memoria può essere una preziosa antagonista di altre cose quali la paura, la pena, la rabbia, la noia, i problemi economici. La memoria è una forza implacabile, se vuole vince lei e restituisce da vivere.
Pensieri come tanti. Speranza, parola che non uso mai.
Un tempo veniva persino data come nome alle bambine... "ove sei o sola che, forse, potrei amare, amare d'amore?" dicevano gli ultimi versi de' "l'amica di nonna Speranza" di Guido Gozzano. Come fu bello quel giorno del liceo in cui me li andai a rileggere in autobus tornando a casa, tanto mi avevano colpito quella stessa mattina, letti in classe dal mio prof Tappi, (che ora a volte mi legge qui e io ancora imparo.)
E poi ricordo anche la "Sora Speranza", ossia un'amica di mia nonna, che lei salutava quando passava sotto la sua finestra: "Sora Speranza, come state? Vi fanno male le gambe?". Il voi, sempre.
Il problema è che questa panchina ora è vuota e le persone di quella età così tanto avanzata non ci si possono sedere in questi pomeriggi già caldi e con un cielo così vivo che ogni giorno fa il giro del mondo e poi torna qui a fare il punto di tutto ciò che ora manca. Perché tante cose mancano.
Però poi, c'è domani. (Cit.)
E infatti guarda come si vedono piano, piano i miglioramenti. Meno morti e più guariti. Fine. Solo questo conta. Conta così tanto che se ne accorge anche il mio vocabolario pieno di parole inutili. Che allora tira fuori quelle di mia nonna.
Tra un po' verrà l'estate e in quella panchina ci sarà ogni giorno qualcuno, e insieme a lui il cielo vivido e la memoria implacabile.
Guarda come stanno bene e come sono tornati contenti, dirò a mia figlia dopo che abbiamo fatto una corsetta da quelle parti e non vedremo l'ora di arrivare a casa e bere tutta l'acqua possibile. O di attaccarci ad una fontanella e bere. Forse questo no. Questo ora ci fa paura.
"Sora Speranza, come state?". Direi rivolgendomi non tanto al ricordo dell'amica di mia nonna, ma a questo cielo enorme che anche per noi fa il giro del mondo ogni mattina. Pieno di parole cadute in disuso, ma non per questo dimenticate.

Anna Cherubini