L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni - 16

Pasqua strana.Un pensiero particolare per medici ed infermieri che stanno in  frontiera a combattere la  pandemia.

Diario cortonese di questi giorni - 16

Pubblichiamo anche oggi molto volentieri le riflessioni del diario di Anna Cherubini. Riflessioni che ci parlano di una Pasqua strana e che , giustamente, hanno anche un pensiero particolare per medici ed infermieri che stanno in  frontiera a combattere la  pandemia. Grazie Anna! (IC)

Diario di una PASQUA STRANA

Sarebbe stato strano se in mezzo a tutto questo non fosse caduto anche un giorno particolare. Se non ci fosse stata di mezzo, che so, una Pasqua. Perché se non ci fosse stata, la drammaturgia di questo film reale avrebbe avuto una pecca.
E intanto è davvero un giorno di Festa, Resurrezione, di Gesù, di Rinascita, di Perdono, di Passaggio-Oltre, di Salvezza, e poi le uova, le colombe, gli ulivi, i mandorli in fiore. Quando raccontiamo le pasque del passato diciamo Pasqua e poi l'anno. Invece quella di quest'anno sarà ricordata come "la Pasqua del Coronavirus". Magari diremo "Pasqua 2020" ma faremo gli occhi allusivi, perché qualunque persona con cui parleremo saprà di che parliamo.
Infatti in questi giorni pensavo a una cosa particolare. Qualche volta ci ricordiamo di un evento, un periodo, un fatto eclatante che ci ha fatto molto soffrire. Poi è finito, con tutti i dovuti strascichi, e noi lo raccontiamo a chi non c'era o è arrivato dopo. E un po' ci piace, soprattutto se c'è di mezzo il dolore. Mia madre raccontava spesso dell'alluvione di Firenze del '66, lei non era neanche lì, però l'atmosfera, l'angoscia, la solidarietà tra la gente, li aveva vissuti. Così come io certe volte racconto ai bambini quello che sentimmo e vivemmo l'11 Settembre anche essendo lontani. Così so che mi piacerebbe, un giorno, quando tutto sarà finito e ci sarà il sacrosanto vaccino che andremo a farci indossando un abito elegante come si fa per accogliere le cose belle, (quante me ne diranno i dissidenti!), poter raccontare cosa accadde in quell'anno, magari non proprio lontano. Quanta sofferenza ci passò davanti agli occhi, quanta paura, quante rinunce, ma anche quante cose che imparammo a capire. E non è che durò poco, anzi. Durò anche quando ormai non ci furono più contagi. Perché la paura restava ancora, e quello che avevamo perso pesava, e le persone che non c'erano più mancavano.
Ora però, a parte i nostri figli che un giorno lo racconteranno ai loro, (ma è cosa molto lontana a cui pensare), qui non c'è nessuno che non sappia e non possa capire il racconto di questo tempo e di questa Pasqua. Nessuno che non possa capire. Credo, spero. Non è vero, c'è chi ritiene di aver capito molto di più. Di aver capito tutto molto meglio di noi comuni mortali, e continua a postare allarmi di antiallarmismo, a dire che è tutta un'invenzione per tenerci a bada.
Ma pensando alla gente più o meno ancora savia, penso che invece esista una parte di mondo che può raccontare cose, di questo momento, che noi davvero non potremmo capire. Ho immaginato se tutti i medici di adesso, soprattutto quelli che toccano da vicino il problema epidemico, un giorno organizzassero una cena e si mettessero a ricordare questo tempo di ora. Allora ci saremmo noi altri commensali credo che penderemmo dalle loro labbra, io almeno sì. E me me starei zitta, in attesa delle loro prossime parole. E mi godrei il racconto fatto al passato.
Sinceramente non mi è mai venuto da pensare che questo evento fosse "democratico", ossia giusto e imparziale, o uguale per tutti. Prima di tutto perché c'è chi si ammala e chi no, e già questo. Poi di certo non è uguale nemmeno tra i sani. Perché c'è chi adesso che non si può uscire vive in cinque o sei in cinquanta metri quadri senza balcone, e chi vive in tre in casali pieni di stanze e di giardini attorno. Chi sta a casa ma ha ancora un lavoro e uno stipendio e chi no. Chi ha tanti soldi per fare la spesa che vuole e chi no. C'è chi si è fatto tantissimo culo per mettere su una propria impresa e mandarla avanti e ora ha dovuto chiuderla e non sa neanche se la riaprirà (è vero che ci saranno gli aiuti, i salvavita, ma vuoi mettere quanto sarebbe stato meglio, ora, in questa Pasqua di tempo bello non stare a pensare agli aiuti?).
E pensando proprio al mondo del lavoro, se una persona ha scelto di essere un medico o un infermiere, sicuramente lo ha fatto perché si sentiva portato, perché gli piaceva, e anche perché forse aveva dentro quella "marcia in più" che è la nobile, meravigliosa, invidiabile dote del "non tirarsi indietro". Non so se in questo momento ci sono medici o infermieri, soprattutto di quelli che si trovano proprio dentro la pandemia, che ogni tanto pensano: "chi me lo ha fatto fare?", oppure: "perché diavolo ho dato retta a mio padre che mi voleva medico a tutti i costi", oppure: "avrei dovuto seguire le mie doti artistiche e non iscrivermi mai a Medicina". Non so se ci sono. Ma se ci sono, provo una grande solidarietà, quasi una tenerezza, per loro. E se penso al perdono, penso che se lo debbano concedere. Tanto poi, tirarsi indietro ora proprio non credo sia possibile.
E comunque, dicevo, la pandemia, al di là della sua radice "pan" che vuol dire "tutto", col cavolo che è giusta e democratica.
Ma intanto è arrivata Pasqua. Quando racconteremo a chi verrà dopo di noi, di questo evento epocale, ci ricorderemo di questa Pasqua.
Mi piacerebbe che chi ha organizzato tutto, (non i laboratori di persone cattive che volevano farci ammalare, ma semmai la natura o il cielo), avesse previsto il giorno di Pasqua come punto conclusivo della storia. Come quando in un film, verso i due terzi della storia, una brutta epidemia sta per contagiare il mondo intero, o due innamorati destinati ad amarsi hanno litigato di brutto per via di una ex-fidanzata cattiva o moglie, e si sono separati, ed ecco che lo sceneggiatore ti butta lì un bel giorno di Pasqua, e con quello, inaspettatamente, il salvataggio: la fine dei contagi, la guarigione, i due innamorati che si ritrovano e si baciano, e il saluto da lontano a chi non c'è più o a chi ha fatto soffrire, (tipo alla ex cattiva dell'innamorato). Chissà.
Metto questa foto che feci la scorsa primavera, andando quasi ogni giorno a lavorare a Roma. E' una delle tante statue del Ponte degli Angeli, quello che unisce le due sponde del Tevere sotto Castel Sant'Angelo. E' un angelo, e da quello che vedo, compie un gesto di liberazione, e mentre lo fa, un gabbiano le si è posato in testa compiaciuto. Proprio in un punto di passaggio che è un ponte su un fiume. Il Tevere, i Gabbiani, i marmi, gli angeli. La Pasqua, il passaggio. Quanto vorrei che con oggi avvenisse davvero. Che fosse un segno. Il segno buono che aspettiamo.
E intanto buona Pasqua a tutti.

Anna Cherubini