L’Etruria

Redazione

Nostalgia di Dio.

Far crescere i germogli sbocciati in questi giorni di dolore e di tragedia umana, anche leggendo il bel libro di Lucia Calamaro

Nostalgia di Dio.

Nella sua forte e profonda omelia tenuta alla messa pasquale in San Filippo di Cortona e trasmessa via social, l’arcivescovo emerito di Lucca, S. E. Mons. Benvenuto Italo Castellani, per i cortonesi semplicemente don Italo, ha invitato a custodire e  far crescere i tanti bei germogli umani e di fede cristiana spuntati in questi giorni di dolore e di tragedia, dove un male invisibile e sconosciuto ci ha chiusi in casa e fa morire molti da soli, senza nemmeno il conforto di una carezza dei propri cari.

Il suo richiamo e le sue riflessioni di pastore della Chiesa , che il nostro giornale ha potuto pubblicare già ieri pomeriggio, sono disponibili al link https://www.letruria.it/attualit%C3%A0/riflessioni-per-una-pasqua-diversa-6714. Sono parole che  richiamano, anche alla nostra mente di figli di contadini, la fatica del seme di grano e di mais, che per germogliare lotta, sommuove e mette in terremoto tutta la terra in cui è stato deposto al momento della semina.

Ecco anche il germoglio della nostalgia di Dio, seminato dalla mano invisibile di un male invisibile, in questi giorni di dramma spirituale ,sociale e civile , ha terremotato le coscienze di credenti e non credenti, come forse non accadeva da tempo immemorabile. Sta ora a noi tutti custodire e far crescere questo germoglio così delicato e fragile, ma fondamentale per il futuro, il domani che attende  ogni persona ,  ogni comunità locale , nazionale e internazionale.

Davanti alla peste  coronavirus , tanto per citare un grande poeta novecentesco italiano, “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie ”. Ma noi ora, anche se con un po’ di ritardo, abbiamo preso coscienza che contro questo male siamo tutti in prima linea e quando siamo in trincea , come scrisse nel suo diario un cappellano militare durante la seconda guerra mondiale , sappiamo anche  che  "in trincea non esistono atei”. Sappiamo anche, come ci disse il biblista  Xavier Doufour : “Dio non è un tappabuchi, ma è il mio prossimo”.

Allora sta a noi fare , come i nostri nonni contadini con il seme di grano e di mais  appena  germogliato, esile e indifeso con le sue tre foglioline: prendere  la zappa e impedire alle erbacce di soffocarlo e quindi di aiutarlo a crescere forte e rigoglioso affinché dia quel suo importante frutto e , in questo caso, nutra la nostra anima.

Così come  il seme che nasce lottando  con la terra, aprendo  crepe e piccoli terremoti , ha bisogno di cura e nutrimento per crescere e arrivare a dare frutto, così il germoglio di Dio, spuntato in questo duro, drammatico tempo di emergenza sanitaria nazionale e mondiale, ha bisogno di tutto il nostro impegno per non morire soffocato dalle erbacce, dall’apatia  e dall’indifferenza all’anima, che il sistema del  neoliberismo  ha diffuso a piene mani ed esaltato negli ultimi trent’anni dell’umanità.

L’aiuto di una buona rilettura dell’omelia dell’arcivescovo Castellani, in questo senso, è importante. Ma  vorrei segnalare anche la lettura di un bel libro della drammaturga romana Lucia Calamaro, uscito per i tipi della prestigiosa casa editrice Einaudi proprio appena due mesi fa.

Un libro che si intitola proprio “ Nostalgia di Dio” e che  offre al lettore i testi di un significativo spettacolo drammaturgico teatrale che, dall’anno scorso, sta girando per molte città italiane e che ha avuto un suo significativo debutto  alla Biennale Teatro 2019 di Venezia .

Il  racconto si snoda attraverso i dialoghi di quattro personaggi immaginari della Roma contemporanea. Tre borghesi che vedono interrotta la loro partita di tennis da un amico prete che li invita ad un pellegrinaggio serale e notturno attraverso sette chiese di Roma. Non sanno bene nemmeno loro per che cosa si muovono e perché guidati da un prete, loro amico, cercano un segno di Dio nella nostra società opulenta e individualista.

Il prete si chiama Alfredo e gli altri tre sono Francesco, Cecilia e Simona. Alfredo cerca segni di Dio nella Chiesa contemporanea.  Francesco è un separato che vuol tornare dalla moglie e dai figli; Cecilia è l’ex-moglie che attraverso rumori e suoni  ricerca un suo nuovo posto nel mondo dopo la separazione dal marito; Simona è l’amica di sempre dei due che in maniera svampita e sognatrice vuol essere madre senza sposarsi. Nei loro dialoghi , al di là dei loro desideri immediati, c’è forte una ricerca, una nostalgia  di Dio che dia senso, significato alla vita umana del nostro tempo. Un tempo tutto avvolto e imprigionato nei lustrini della carta patinata del materialismo consumistico.

C’è, insomma, una voglia di ritorno agli ideali, alla rinascita o nascita spirituale, quasi un grido per rivendicare un’epifania originaria, che la drammaturga fa sorgere attraverso l’alba onirica della venuta di un Dio bambino che non parla agli uomini perché troppo piccolo, ma che indica che il senso della mèta della vita sta nell’inizio. 

Io penso sempre bambino questo nostro Dio... abbastanza piccolo, potente, un concentrato di energia. Pieno di quella foga impossibile da trattenere, in cui ti scappa di fare tutto quello che si suppone non dovresti fare” , dice in un monologo Simona, che come gli altri, nonostante la sua vita borghese (”quasi retrò , da giardino dei Finzi-Contini”) ha nostalgia di  quel Dio che la società della velocità e delle corse frenetiche ha tentato di espellere dall’anima delle persone.

La drammaturga Lucia Calamaro con questo testo teatrale porta avanti il suo percorso iniziato con l’altro suo libro e spettacolo : “La vita ferma. L’origine del mondo”, pubblicato sempre con Einaudi nel 2018.

I suoi testi e spettacoli pieni di un flusso travolgente di parole senz’altro hanno bisogno di essere confrontati con la buona parola del Vangelo e della Bibbia, come ci suggerisce l’omelia pasquale dell’arcivescovo emerito Castellani, ma può essere una prima , interessante lettura per continuare a vivere queste lunghe giornate di clausura domestica, che ancora ci attendono prima di ripartire per il nostro  ‘peregrinaggio’ terreno  nel  mondo nuovo e sconosciuto, che, presto, molto presto, attende l’impegno di ognuno di noi.

Un impegno che ci faccia vivere ancora sì "Pasque e Pasquette diverse" , ma non, come si è visto ieri nei social, affollate di foto di banchetti opulenti dove il messaggio delle immagini continuava ad esser quello del prima, quando in tanti, anche tra i cristiani, non si trattengono dal “confondere l’Agnello di Dio con l’abbacchio al forno”, come giustamente  ha scritto un amico  intellettuale in un post  nella sua pagina FB.

Ricordiamoci sempre che, forse, ieri  c'è stato un nostro fratello, un nostro prossimo che, a pranzo,  ha diviso una fettina di carne in quattro, o, come facevano i contadini di una volta, nelle loro povere case di campagna e di montagna, ha mangiato solo un uovo in quattro.

Per approfondire e saperne di più: Lucia Calamaro, Nostalgia di Dio, Einaudi, Febbraio 2020.

Ivo Camerini