L’Etruria

Redazione

Diario cortonese di questi giorni - 38

Nostalgia della normalità

Diario cortonese di questi giorni - 38

Pubblichiamo anche oggi molto volentieri le riflessioni del diario di Anna Cherubini. Riflessioni sul bisogno e la nostalgia della normalità. Una normalità che ancora però è appesa ai sogni più che ai sostegni. Grazie Anna! (IC)

Diario della NORMALITA'

Andavo a Roma più o meno ogni settimana, per motivi diversi. Lo scorso anno in questo periodo andavo quasi ogni giorno.
A volte prendevo il treno delle 6.45 e a volte quello delle 8.03 che arrivava a Roma-Tiburtina invece che a Roma-Termini. Lì, nella seconda stazione più importante, tenevo fede a questo rito di fotografare la gente controluce in corsa nel sottopassaggio che collega treni, piazzale e fermate della metro. Postavo ogni volta la foto di tutte le sagome in penombra appena scesa e le chiamavo "sagome a Tiburtina". Era una specie di saluto che facevo alla mia città arrivando, ogni volta. Una cosa tra me e me.
Da lì prendevo due metropolitane, oppure una sola fino a Termini e poi il 64 perché era l'autobus del tragitto che normalmente mi serviva fare. Tutto strapieno, sempre, non solo la metro, ma i sottopassaggi, le scale mobili, gli androni, gli anfratti, le ore, i desideri, le aspettative, i messaggi vocali che si confondevano con la musica dentro le stesse cuffie, e con le voci di tutta quella gente di cui però vedevo solo le labiali, i gesti, la stanchezza, i sorrisi. Mi piaceva tornare la sera col treno delle 20 dal binario est di Termini, quello dove si arriva facendo un chilometro a piedi a partire dall'entrata in stazione. Un binario che fa dire un sacco di parolacce perché nessuno si aspetta sia così lontano, e allora ci arriva correndo per non perdere il treno, spesso con scarpe scomode da lavoro. Quell'ora della sera al binario est mi ha sempre riempito di struggimento poetico. Era come il punto che segnava il mio distacco da Roma, che magari avrei rivisto il giorno dopo, ma mi divertiva tanto soffrire ogni volta che la salutavo, anche per poco. Il saluto alla città matrona, sudata e bellissima, di cui mi sento figlia. Le coppie che si baciano lì, in quel punto cementifero e mezzo infernale, si baciano meglio di quelle che si baciano un po' più dentro la città.
Mi piaceva cenare in treno con un pezzo di pizza al taglio comprata al volo lì a Termini. Una volta partiti, c'era un punto in cui il treno si fermava per sbaglio, prima di iniziare la sua corsa decisa verso Est e poi verso Nord, e il punto era davanti al terrazzino ad angolo di un appartamento, di preciso una stanza per ragazzi normalmente con la bandiera della Roma appesa, che ancora un po' si poteva toccare allungando un braccio dal finestrino. Mi sono sempre chiesta se erano contenti i romanisti di quella casa di avere il regionale veloce diretto a Firenze Santa Maria Novella che gli entrava quasi in casa.
Mi manca quella pienezza di vita. Che era la normalità. La normalità positiva, nel senso che si realizzava ogni giorno e andava avanti. Così come era la normalità qualche sera non riprendere il treno ma finire a cena da un'amica come fossi una sorella, e stare a chiacchierare in cucina piluccando con le mani le cose sui fornelli, proprio come si fa a casa propria, o bevendo dallo stesso bicchiere.
Le cose che mancano a me sono il meno. Quel ricordo della stazione Tiburtina piena di gente in penombra, di cui mi piaceva intuire la giornata che avrebbero avuto davanti soltanto dall'andamento dei loro passi o dei loro trolley, è una piccola nostalgia, non un lamento. Il lamento non spetta a noi ma a tutti quelli che hanno avuto, o avranno a che fare con la parola positivo che non ha niente di positivo.
La nostalgia non è tanto per il passato, ma per un futuro prossimo che di quel passato probabilmente avrà ben poco. La nostalgia di una normalità che avrebbe dovuto essere e che invece non sarà stata.
Le nostre piccole e abituali cose non torneranno normali, anche se stamani tutti pensano che risaliamo su un treno che, tra rotaie traballanti e di sicuro qualche fermata fuori stazione, dovrebbe riportare da quelle parti. Non quelle del terrazzino con la bandiera della Roma, attaccato alla ferrovia. Ma quelle della normalità.
Come ha detto la Littizzetto ieri sera, ci serve più che altro una botta di culo.
Il mio pensiero, stamani, va soprattutto a quei tantissimi che riprenderanno gli autobus e le metro, e ai volontari che da oggi in poi saranno lì a tutelare le folle di gente che sale e scende dai mezzi pubblici, (le sagome che mi piaceva fotografare, incosciente del dopo), perché mantengano le distanze e le mascherine in faccia. Tutta gente, i viaggiatori dei mezzi pubblici, che non può fare a meno di prenderli per andare a lavorare. Stasera torneranno a casa con quel velo di ansia, e guarderanno i loro bambini senza la spensieratezza di poterli abbracciare come facevano prima, quando anche attaccandogli un po' di puzza del metallo dei corrimano, in confronto alla paura di oggi era oro.
Un giorno, su un autobus, vicino al corrimano ho letto la targhetta di quelle che invitano alla prudenza. C'era scritto: durante la corsa reggersi agli appositi so... gni. Si era cancellata la sillaba "ste", che avrebbe composto la parola "sostegni". Così, invece che reggersi agli appositi sostegni, dovevamo "reggerci agli appositi sogni". Che oggi sarebbe anche appropriato visto che ai sostegni non si vorrà reggere nessuno, per paura del contagio. Ma ai sogni sì. Ai sogni, credo, ci vogliamo attaccare con più forza di prima.

Anna Cherubini