17 ottobre 2018, ancora solo una debole linea di contorno per definire quello che sarà per noi studenti il traguardo di 5 anni di lavoro, 5 anni di impegno che, chi più chi meno, abbiamo tutti sentito il bisogno di affrontare, non solo per ottenere dei risultati, ma anche per il gusto di percorrere un tragitto colmo di sfide insieme ai nostri compagni.
Eccoci dunque a metà del trimestre dell'ultimo anno di liceo, senza aver chiaro in testa ciò che ci attenderà a giugno dell'anno prossimo: un giugno apparentemente lontano che, però, non richiederà troppi sforzi per arrivare trovandoci impreparati.
Così restiamo a discutere tra noi di questo misterioso “esame”, da una parte con la convinzione che un cambiamento inaspettato porterà noi misere cavie ad essere agevolate, confidando nella generosità (ma oserei dire prodigalità) degli insegnanti nel riempire le tabelle ministeriali con i nostri punteggi, dall'altra con la speranza, non essendoci ancora informazioni troppo dettagliate in proposito, che ciò che ci aspetta sia più semplice di quanto i nostri predecessori si sono trovati ad affrontare.
Ma adesso poniamo un quesito ad un fantomatico lettore che dalla sua comoda poltrona del ministero si accinge, tutto soddisfatto, ad iniziare l'ennesima diretta Facebook: se davvero questo esame fosse più semplice del precedente, per quale motivo dare più valore al percorso scolastico (uno dei pochi punti accettabili di questa riforma) con la scusa di aiutare gli studenti e valorizzarli?
E ancora: se ritiene questo esame più difficile del precedente, come mai si incoraggia una riforma portata avanti e ancora non resa interamente pubblica ad ottobre? Come crede possibile che studenti preparati per quattro anni su un esame apprendano in sette mesi tutte le variazioni che si propinano?
Ma scendiamo nel dettaglio. Fingiamo per un secondo, ovviamente senza dimenticare quale sia la realtà, che il ministero avesse già finito di riformare la scuola durante le vacanze estive e fosse riuscito, arduo persino da immaginare, a informare gli insegnanti prima della ripresa delle lezioni circa le nuove prove, fornendo loro simulazioni e spiegazioni dettagliate. Anche assumendo come vero tutto ciò, cos'è che non avrebbe comunque funzionato? Allora mettiamo da parte le tempistiche e concentriamoci sui contenuti:
La terza prova è stata eliminata: motivo di brindisi per molti studenti poco entusiasti di perdere pomeriggi interi a prepararsi su questa prova, ma anche triste notizia per chi, poco portato alla scrittura e cosciente del tempo impiegato per apprendere come portare a termine “sufficientemente” un saggio breve o un articolo di giornale, si ritrova a doversi cimentare su tutt'altro nella nuova prima prova, che conserva tale e quale esclusivamente la tipologia A (nella quale, comunque, è stato raddoppiato il numero di testi posti sotto analisi), o ancora per chi, certo di non poter raggiungere ottimi risultati nella seconda prova, sperava di incrementare il proprio voto seguendo la forma più meritocratica di tutte: studiando quanto più possibile le varie materie e mettendosi alla prova su queste con risposte aperte da completare entro un limite massimo di righe (una tipologia di verifica di cui più volte è stata fatta pratica nel corso degli anni).
La prima e la seconda prova concorrono al voto finale con 20 punti ciascuna, a differenza dei 15 degli anni scorsi, così come l'orale che passa dai 30 degli anni passati a 20: se la cancellazione della terza prova può creare dissensi e dividere le opinioni, non può certo creare dubbi questo punto, in quanto ad ogni studente con un minimo di cervello appare chiaro che una singola prova di italiano, o matematica o fisica (altro punto da trattare), non può valere quanto 9 materie da preparare tutte per lo stesso giorno. Saper scrivere in un italiano corretto è essenziale una volta usciti da un liceo, così come saper analizzare un testo formulando periodi di senso compiuto e sapendo ordinare le proprie idee al meglio, su questo non ci piove, ma continua a non essere accettabile che questo venga quantificato come una prova orale, in cui lo studente dimostra molto: non solo quanto e come ha studiato, ma anche la sua capacità espressiva e di rielaborazione.
In merito ai 20 punti dell'orale, nello specifico; si presenta il primo maturando alla commissione, il suo è un buon percorso scolastico (30 punti sui 40 totali), le prime due prove sono andate molto male (9 punti ciascuna), ma gli insegnanti non se la sentono di bocciarlo e nonostante la scena muta dell'orale appena concluso decidono di dare il punteggio necessario affinché passi, così considerano il colloquio sufficiente attribuendo 12 dei 20 punti consentiti. Si presenta il secondo maturando, un buon percorso di studi (35 punti sui 40 totali), le prime due prove discrete (15 punti ciascuna) e il colloquio buono, così la commissione decide di premiarlo e gli attribuisce 15 punti per l'orale. L'ultimo maturando è un'eccellenza, ottimo percorso (40 punti), ottime prove scritte (40 punti) e ottimo colloquio che gli porta altri 20 punti. Analizziamo adesso la situazione: la valutazione del colloquio per il ragazzo che ha fatto scena muta è di 12/20, quella del ragazzo che ha fatto un buon colloquio è di 15/20 e quella del ragazzo che ha fatto un ottimo colloquio è di 20/20; notiamo che tra il primo citato e l'ultimo ci sono esattamente 8/20 di scarto, un numero che fa accapponare la pelle: 8 punti nel conteggio finale, nemmeno un voto di differenza tra chi fa scena muta e chi dice tutto, tra chi apre appena bocca e chi riempie l'aula non solo con quello che ha studiato e amato, ma anche rielaborato. Questo vale anche per chi ha portato a termine un buon orale. Solo 3 punti di scarto tra chi con impegno ha sacrificato giorni tentando di concludere al meglio con il colloquio e chi non ha aperto bocca. Viva la meritocrazia!
Matematica e fisica in seconda prova (un problema che riguarda soltanto i licei scientifici): finalmente ce l'hanno fatta! Anni di promesse, o meglio minacce, riguardo questa famigerata fisica in seconda prova e finalmente il governo ha raggiunto l'obiettivo! Complimenti! Direi che un tempismo migliore non sarebbe stato possibile. Quale migliore anno per includere fisica in seconda prova, fino ad ora mai presente, se non quello in cui cambia tutto? Il famoso proverbio secondo cui “le cose o si fanno per bene o per niente” direi che è stato seguito alla lettera, se non che quel “bene” andrebbe propriamente sostituito con un “male”. Direi comunque che l'obiettivo del ministero è stato raggiunto, in quanto la paura di una protesta per fisica in seconda prova che è durata per molti anni è stata adesso sostituita dalla certezza del silenzio: conciliare questa meravigliosa idea con altre che potrebbero solleticare negli alunni l'illusione di partecipare ad un esame più semplice dei precedenti è stata infatti una trovata pazzesca, se non fosse che punta su un inganno che, non per essere complottista, potrebbe apparire ordito al fine di raggirare gli studenti e indirizzarli come pecore a quello che si potrebbe rivelare un disastro, nonché una pura vanificazione del loro impegno in questi anni. Dunque non resta che contare sulla magnanimità degli insegnanti, anche loro alle prese per la prima volta con le novità della riforma? Non è concepibile che un ragazzo si trovi a dover contare sulla pietà del proprio esaminatore piuttosto che sulle proprie capacità a causa di una prova che non conosce e che tutto sarà per lui, ma non una passeggiata.
C'è poi l'alternanza scuola-lavoro: a prescindere dai risultati ottenuti con questo progetto, fruttuosi o meno, essa non sarà più richiesta in sede d'esame come requisito per accedere alla maturità. Una buona notizia, se non fosse che si sono dimenticati di avvertirci prima che noi spendessimo 200 e più ore tentando di risultare buoni studenti e cittadini. Ciò senza contare che, spesso, quello che avrebbe dovuto rivelarsi un buon modo per entrare nell'ottica del mondo del lavoro è risultato una perdita di tempo, uno sfruttamento da parte dei soggetti ospitanti, forse come risposta ad una loro stessa resistenza nei confronti di questa iniziativa o forse come mezzo per liberarsi dell'impiccio rappresentato da ragazzi inesperti e bisognosi di istruzioni per “fare bene”.
Non contiamo nemmeno il fatto che queste 200 ore di alternanza, spendibili in moltissime attività più utili, sono state ancor più difficili da sopportare in un liceo, considerandone la lontananza rispetto a quanto viene affrontato in certe scuole e rispetto a ciò per cui tali scuole preparano (Ci si riferisce ovviamente all'università).
Adesso che abbiamo chiarito questi 5 semplici punti, possiamo anche cancellarli, dimenticarli, gettarli via; non dimentichiamo infatti che essi sarebbero da prendere in considerazione nel caso, assurdo, in cui tutto fosse stato pronto per settembre. Non se ne parla nemmeno di discuterne adesso, ad ottobre, quando tutto quello che abbiamo sono praticamente voci di corridoio e qualche frase sconnessa piena di errori, che da sola esemplifica l'incoerenza della riforma tutta e non fa capire né spiega.
Pare quasi che il fatto che siamo del nuovo millennio consenta esperimenti su di noi di ogni tipo, ci siamo quasi abituati a tutto questo, così assuefatti al silenzio che una sola parola ci costa fatica e anche se questa esce, si fa sentire, è subito messa a tacere dai sensi di colpa per non essere “rimasti al nostro posto”. No. Non è questo ciò che dovremmo aspettarci da noi, basterebbe unirsi davvero contro qualcosa che non sentiamo nostro per vincere. Di certo molti dei punti della riforma possono ingannare anche le menti più brillanti, ma non dimentichiamo che la scuola, la vera scuola, è quella che ci insegna a non accontentarsi, a non farsi scorrere tutto addosso e ad urlare se necessario per fare spazio ad una propria obiezione, per quanto minima. Dimostrarsi muti equivale a perdere, se non in modo assoluto almeno equivale a perdere qualcosa di giusto in cui credere, che è ciò di cui ci potremmo pentire, ma non tra anni; ce ne potremmo pentire persino il giorno dopo quell'ultima prova, quando vedremo il nostro bel numero lì in mostra a rappresentarci. Ebbene quello non ci rappresenterà, rappresenterà il nostro silenzio di fronte a qualcosa da noi ritenuto più grande e alla cui opposizione abbiamo rinunciato, rappresenterà il lettore di queste parole che, protetto e coccolato dalle sue piccole certezze, rinuncia a rispondere a questo accorato ma potente messaggio che lo chiama a difendere il giusto dall'ingiusto, a riconoscere l'obiettiva condanna ai suoi stessi diritti scindendola dall'egoistico tornaconto, tentando di rompere le catene che soffocano noi studenti, ormai così pigri, assenti, muti e riverenti.
Iacopo Mancini
Nella foto: La classe V del Liceo Scientifico Giovanni da Castiglione